lunedì 26 luglio 2021

Negazionismo, Complottismo e lotta contro la Dittatura

Se il virus non esiste, se la sua pericolosità e letalità non è diversa da
quella di un’influenza stagionale, se misure di protezione quali mascherine, distanziamento sociale, vaccinazione e così via non servono per contrastare la pandemia, allora lo stato non potrà che apparire come una potenziale dittatura che abusa del suo potere per limitare in maniera del tutto ingiustificata i diritti fondamentali dei cittadini.

Il problema è che con i negazionisti è molto difficile entrare in un dialogo democratico. Negando le informazioni e le conoscenze scientifiche di base sul virus, non ha alcun senso discutere con loro se le misure di limitazione delle libertà personali siano o meno giustificate, e fino a che punto, in nome della protezione del diritto alla vita e alla salute dei cittadini, così come non ha senso, ad esempio, parlare di cosa fare per contrastare il cambiamento climatico con chi nega l’evidenza scientifica della sua esistenza.
Se non si fidano delle informazioni che vengono comunicate dalla comunità scientifica e dalle autorità sanitarie, allora i negazionisti possono trasformarsi in complottisti. Se la stragrande maggioranza di medici, scienziati, esperti di salute pubblica al mondo non ci sta dicendo la verità, allora dietro le informazioni false che ci trasmettono deve esserci un complotto che sta cercando di assoggettare e controllare il mondo. Altrimenti perché dovrebbero mentirci?
Tutto questo crea un potenziale pericolo per la nostra democrazia. All’interno di una rappresentazione e narrazione paranoica del reale, gruppi di persone possono farsi forza a vicenda nella convinzione che solo loro conoscono la verità, e che gli altri o sono delle persone che sono state manipolate, oppure dei nemici che stanno tramando dietro le loro spalle per negare e distruggere i loro diritti e la loro possibilità di felicità. Per lottare contro una dittatura non diventa giustificabile la disobbedienza civile, la rivolta e la violenza collettiva?


Scienza, democrazia e libertà degli ignoranti 
in "La Regione", 23 luglio 2021. Leggi l'articolo qui.





Io mi faccio vaccinare


Mi sono vaccinato per proteggere me stesso, le persone a me vicine e la collettività.
L’ho fatto per il mio bene e per la mia salute personale, perché reputo i rischi e i pericoli di contrarre la malattia ben più gravi dei possibili effetti collaterali dei vaccini.
L’ho fatto per il bene e la salute dei miei famigliari, dei miei amici, delle persone che incontro e della società.
L’ho fatto per il mio interesse personale, per evitare che ci siano nuove chiusure e perché vorrei poter continuare a frequentare bar, ristoranti, cinema, teatri, sale concerti, stadi e musei.
L’ho fatto per l’interesse di tutte e di tutti, perché la pandemia aumenta le disuguaglianze sociali, amplifica il disagio e la sofferenza mentale, attacca i più deboli causando morti che, volendo, potremmo evitare.



lunedì 1 marzo 2021

Il virus tra dittatura e democrazia


Viviamo veramente in Svizzera in una “dittatura sanitaria” voluta dalle autorità politiche in generale e del Consiglio federale in particolare, che limiterebbero e usurperebbero i diritti, le libertà e le volontà fondamentali del “popolo”?

Senza voler entrare nella discussione su come, quando e se sia giustificato allentare le misure di protezione dal virus, sostenere che vivremmo attualmente in una dittatura significa non cogliere i fondamenti etico-politici delle nostre società liberal-democratiche.

In una situazione di emergenza e di crisi come quella della pandemia è la stessa Costituzione svizzera, oltre che la legge sulle epidemie, a conferire al potere politico la possibilità di limitare i diritti e le libertà fondamentali. Infatti l’art. 34 della Costituzione prevede che “le restrizioni dei diritti fondamentali devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui”.


Le restrizioni alle libertà fondamentali sono volte a garantire l’interesse della salute pubblica. Non subiamo quindi le decisioni di un’autorità che abuserebbe del suo potere per schiacciare i diritti dei cittadini, ma che tenta di trovare un equilibrio all’interno di un conflitto tra i diritti dei cittadini, in particolare tra il diritto alla libertà e al benessere degli uni, e il diritto alla vita e alla salute degli altri.

Non sarebbe quindi forse il caso, finalmente, di ammettere pubblicamente che chiedere più libertà e minori restrizioni significa anche prendersi il rischio e la responsabilità di causare più malattia e più morti nella popolazione, così come continuare a limitare le libertà fondamentali significa accettare che la situazione crei malessere e disagio mentale nella popolazione?

Se non si vuole ammettere che viviamo all’interno di questo conflitto, non rimane allora che negare le attuali conoscenze che abbiamo sul virus nonché il valore e la fiducia nella scienza, contribuendo così a rinforzare le opinioni e le teorie negazioniste e complottiste tra la popolazione.

Un populismo che evoca la dittatura e attacca la legittimità delle autorità politiche e scientifiche, e sfrutta per i suoi interessi personali le emozioni e l’affaticamento mentale della popolazione, non rischia di essere un pericolo peggiore per la democrazia?

venerdì 5 febbraio 2021


G. Mattei, "Disumanizzare le persone. Stereotipi e pregiudizi sui profughi in Svizzera e in Europa", in N. Emery (a cura di), Potere e pregiudizio. Filosofia versus xenofobia, Mimesis editore, Milano 2021.


"Viviamo in un’epoca segnata da stereotipi e pregiudizi nei confronti dei profughi e dei migranti che giungono in Svizzera e in Europa. Questi stereotipi e pregiudizi sono radicati all’interno di rappresentazioni e narrazioni potenzialmente disumanizzanti, che identificano gli stranieri come individui “altri da noi”, spesso come “intrusi”, “invasori”, “nemici della società”, talvolta come delle “non persone” che si preferirebbe non esistessero.

Queste rappresentazioni e narrazioni sono funzionali alla costruzione e al mantenimento di un’egemonia sociale, culturale e politica che riattualizza i nazionalismi degli stati moderni e suddivide il mondo tra chi ha il privilegio e beneficia dei rispettivi diritti di poter stare dalla parte del “noi”, e chi rischia invece di non aver alcun diritto, se non quelli che gli vengono concessi dal “potere del noi”.

Questa egemonia e questi processi di disumanizzazione dell’alterità producono conseguenze psicologiche, morali, sociali e politiche. “Loro”, i profughi in particolare e i migranti in generale, percepiti, vissuti e pensati come degli “esseri non umani come noi”, che hanno meno diritti di noi (o non ne hanno del tutto), possono così essere respinti ed esclusi, rinchiusi, espulsi e lasciati morire senza che ci si senta responsabili nei loro confronti, né come individui né come società."

I contributi raccolti in questo libro ruotano attorno a un'ipotesi di fondo: la Teoria critica prosegue e si rinnova oggi anche nella decostruzione delle discriminazioni di genere, di orientamento sessuale, di razza e di specie. Impegnatasi in maniera pionieristica sui temi della genesi critica dell'antisemitismo e della personalità autoritaria, essa ha contribuito - con i lavori di Horkheimer, Adorno, Fromm e Löwenthal - a scardinare i pregiudizi distruttivi e ad aprire la via della rivendicazione dei diritti delle differenze, poi al centro di orientamenti di pensiero cardinali - come il femminismo, i Gender studies, gli studi post-coloniali, l'animalismo. D'altra parte, lo "psicologismo" caratterizzante la diagnosi classico-francofortese dell'accecamento xenofobo, definito in termini di "proiezione morbosa" e di "paranoia", per quanto lungimirante non è assunto in termini riduzionistici. Il rapporto fra potere e pregiudizio disegna un minaccioso circolo vizioso a più fattori, che il presente libro contribuisce a indagare e a smontare in tutta la sua estensione.

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mercoledì 3 febbraio 2021


Il diritto alla scuola

Se l’11 maggio quasi tutto il “mondo degli adulti” aprirà, perché la scuola non dovrebbe poter aprire?


(da LaRegione del 5 maggio 2020)

La riflessione sull’opportunità o meno di aprire le scuole dell’obbligo l’11 maggio è senza dubbio complessa. Immaginare bambine e bambini nuovamente seduti sui banchi o che giocano nei cortili delle scuole può far emergere negli adulti emozioni di paura e preoccupazione. E questo è comprensibile. Chi scrive, che è padre di un bambino che frequenta le scuole elementari nonché docente delle scuole post obbligatorie, reputa però che nella situazione attuale, con le relative misure di sicurezza e protezione, le scuole dell’obbligo vadano riaperte. Non si possono né si vogliono negare gli eventuali rischi di un aumento dei contagi che un luogo di socializzazione come la scuola potrebbe portare con sé, rischi che sono comunque ancora da dimostrare. Ma la mancata riapertura può essere un’ingiustizia ben maggiore nei confronti del diritto all’educazione, alla socializzazione e alla vita delle nuove generazioni.

Se apre (quasi) tutto, perché la scuola no?
Chi scrive non è né virologo né epidemiologo. I dati e la letteratura scientifica ci dicono però che i bambini, tranne quelli con patologie pregresse, si ammalano molto meno di Covid-19 degli adulti e degli anziani, e se si ammalano il decorso della malattia è molto più lieve. I bambini rispetto agli adulti e agli anziani sono molto meno a rischio. Ma allora perché non aprire le scuole? Non si può né si vuole qui entrare nel dibattito sulla potenziale contagiosità dei bambini nei confronti degli adulti, che per taluni esiste, mentre per altri è più ridotto o quasi del tutto inesistente. Una domanda però non può non essere posta: se l’11 maggio quasi tutto il “mondo degli adulti” aprirà, perché la scuola non dovrebbe poter aprire? È forse dimostrato che il rischio di contagio su cantieri, trasporti pubblici, in bar e ristoranti che saranno sempre più affollati è minore che a scuola? Ma allora perché voler applicare il principio di precauzione al “mondo dei bambini”, tenendo le scuole chiuse, e non ad altri ambiti del “mondo degli adulti” magari molto a più a rischio di trasmissione del contagio? Non sarebbe questa una negazione dei diritti dei bambini e discriminatorio nei loro confronti?

Il bisogno e il diritto alla socializzazione
È probabile che dall’11 maggio ci saranno sempre più adulti che lavoreranno, andranno per negozi, frequenteranno bar e ristoranti nelle piazze cittadine e di paese. Avranno la possibilità di comunicare con amici e colleghi, all’interno di un mondo nel quale le relazioni personali e sociali saranno sempre più frequenti e numerose, anche se, si spera, con le dovute distanze. E i bambini? I parchi giochi, i campetti, i luoghi di ritrovo dei bambini per evitare assembramenti rimarranno con ogni probabilità chiusi o ne sarà limitato l’accesso. Se non potranno andare a scuola, allora i bambini, mentre il “mondo degli adulti esce”, rischiano di essere costretti a continuare a rimanere chiusi in casa. E i bambini più piccoli con i genitori che dovranno lavorare sempre di più con chi staranno? Verranno organizzati dei servizi di accudimento nei quali i bambini saranno sempre di più? E i bambini più grandi, che possono già girare da soli, non rischiano di ritrovarsi in giro tra pari in assembramenti sempre più numerosi? Ma allora non sarebbe meglio mandarli a scuola? Negare per mesi il bisogno e il diritto alla socializzazione del “mondo dei bambini”, a poter comunicare, giocare, entrare in relazione con i propri pari, può creare in particolare nei bambini più fragili e vulnerabili dei seri problemi per la loro salute psicologica, il loro sviluppo, la loro crescita.

L’aumento delle disuguaglianze e dell’emarginazione sociale
Ci sono bambini che stanno vivendo più o meno bene l’insegnamento a distanza. Molti probabilmente se la cavano. Diversi però probabilmente non ce la fanno. Magari hanno genitori che non hanno le competenze sociali e culturali per seguirli, aiutarli e sostenerli. Oppure mamma e papà devono seguire anche i fratelli e le sorelle, magari devono pure lavorare in casa e fuori casa, e magari non hanno a disposizione tutti i mezzi tecnologici necessari. Oppure mamma e papà litigano di continuo, e magari papà picchia la mamma. E poi ci sono bambini che per i loro problemi di salute e sviluppo necessitano di un’educazione speciale. E bambini più grandi che, nonostante magari i genitori ce la mettono tutta, non fanno quello che dovrebbero fare e vivono come se la scuola non esistesse più. E poi ci sono i bambini abbandonati e maltrattati. Quando i genitori faticano, gli insegnanti non hanno sempre la possibilità di offrire agli allievi un accompagnamento regolare e individualizzato che il fare scuola a distanza richiederebbe, per non parlare dei bisogni di relazione, integrazione e socializzazione fuori dall’ambiente famigliare e con i pari, così importanti nei processi di sviluppo e formazione della personalità dei minori.
Più le scuole rimarranno chiuse, più rischiano di aumentare le disuguaglianze sociali e culturali, più il diritto all’educazione per tutti verrà messo in discussione, e più rischia di acuirsi l’emarginazione sociale dei bambini più vulnerabili da un punto di vista psicosociale. E se sei settimane fino all’inizio delle vacanze estive potrebbero sembrare poche, anche se per molti casi non lo sono, chi ci garantisce che in autunno sarà tutto tornato come prima? Vogliamo rischiare che alle 13 settimane di scuola in aula perse fino a giugno se ne aggiungano ancora diverse altre in autunno?

Il prezzo della crisi
Le conseguenze economiche e sociali di questa crisi sanitaria la pagheranno anche e soprattutto le nuove generazioni. È oramai certo che nei prossimi mesi e anni vivremo una delle più grandi recessioni nella storia del capitalismo. Tra crisi socioeconomica e crisi climatica noi adulti rischiamo di consegnare alle nuove generazioni un mondo che potrebbe essere molto più difficile, duro e spietato del mondo nel quale abbiamo potuto vivere noi. In nome della solidarietà e del diritto alla vita, alla cura e alla salute di tutti, in particolare delle persone più anziane, vulnerabili e a rischio di contrarre il Covid-19 nelle sue conseguenze più tragiche, abbiamo deciso giustamente di rimanere in casa e chiudere un mondo. Ma d’ora in poi, nella ricostruzione del mondo che verrà, bisognerà anche e soprattutto saper garantire alle persone più giovani, quelle meno a rischio di contrarre il Covid-19 ma che vivranno per più tempo nel nuovo mondo, quelle che ne pagheranno di più le conseguenze senza averne colpa, il diritto alla scuola, alla formazione, all’educazione e alla socializzazione, perlomeno il diritto di poter uscire di casa anche loro.


P.S.: l’apertura delle scuole in nome dell’equità e del diritto di ogni bambino a ricevere un’educazione adeguata è la posizione della Task Force Scientifica Nazionale Covid-19, che ha dato il suo consenso al Consiglio federale per l’apertura delle scuole dell’obbligo.