venerdì 19 aprile 2019

L'attacco contro i giovani


Negli ultimi tempi si susseguono gli attacchi da parte di un certo “mondo degli adulti” contro i giovani che scendono in piazza per chiedere un futuro migliore, o per poter perlomeno sperare in un “futuro minimamente sopportabile” su questa terra.



Le tattiche messe in atto in questa “guerra simbolica” sono molteplici: attacchi personali, accuse d’incoerenza tra quanto viene affermato e gli stili di vita personali, messa in dubbio delle “buone intenzioni” di chi scende in piazza; utilizzo di fake news, pregiudizi e post-verità.

Questo processo è funzionale alla costruzione di una narrazione e di una rappresentazione simbolica volta a delegittimare e ridurre al silenzio l’avversario, affinché noi adulti non dobbiamo più sentirci costretti a rispondere alle domande di cambiamento sociale, politico e culturale dei giovani.

Lo scopo finale di questa strategia è fare in modo che nulla (o poco) cambi, affinché si possa continuare a vivere come abbiamo sempre fatto. Vengono così negate le responsabilità da parte degli adulti di consegnare un “mondo minimamente sopportabile” ai nostri figli e alle future generazioni.


“Greta è manipolata!”


Nella strategia volta a delegittimare e ridurre al silenzio le richieste da parte dei giovani di un “futuro minimamente sopportabile”, vi sono gli attacchi personali contro Greta Thunberg.

Tra questi, uno dei più diffusi è che la giovane attivista svedese sarebbe manovrata dal mondo degli adulti per motivi economici e di successo personale e famigliare (il “marchio Greta Thunberg” creerebbe profitto), o persino politici (le “caste al potere” utilizzerebbero Greta per spostare l’attenzione delle persone comuni dai “veri problemi della gente”). In ogni caso, Greta non si “sarebbe fatta da sé”, ma ciò che dice, crede e pensa le sarebbe stato “messo in testa” da “adulti manipolatori”.

Innanzitutto, sostenere che l’attivista svedese non “pensi con la propria testa” e agisca in maniera “non autonoma”, significa giudicarla, in maniera implica o esplicita, come una ragazza stupida e ingenua, il che rimane tutto da dimostrare (i dati che conosciamo della sua biografia tendono a mostrare l’esatto contrario).

Al di là di questo, ciò che emerge da questa narrazione e rappresentazione “contro Greta e i giovani” è un dato di partenza irrazionale, e quindi ideologico e funzionale alla strategia di potere delle vere lobby politiche ed economiche che vogliono l’egemonia sul mondo. Le critiche a coloro che scendono in piazza per il clima servono infatti a nascondere e a far dimenticare i veri interessi in gioco, ad esempio quelli dell’industria petrolifera e automobilistica (i cui rappresentanti politici e mediatici a livello globale, nazionale e locale non sarebbero invece manipolabili e manipolati?) il cui scopo, in nome di profitti milionari e interessi geopolitici internazionali,  è quello di evitare o ritardare il più possibile il passaggio dalla “benzina” a “energie più pulite”.

Ma l’importante è promuovere e far circolare attacchi personali a Greta e ai giovani che si stanno mobilitando, e questo per non dover prendere coscienza dei dati scientifici sul surriscaldamento globale, e non dover rispondere alle domande di un “futuro minimamente sopportabile” delle nuove generazioni. Come dice il proverbio: “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Peccato che gli stolti che si fanno manipolare non siano i giovani come Greta.


“Si fanno portare a scuola col SUV!”


Gli attacchi contro i giovani, per essere funzionali alla strategia che intende negare qualsiasi possibilità di cambiamento sociale, politico e culturale, non possono essere rivolti solo contro Greta Thunberg. Bisogna infatti tentare di delegittimare e denigrare tutti quei giovani che osano alzare la loro voce.

Si rendono così virali messaggi che mettono in dubbio la coerenza e l’autenticità di chi scende in piazza: “si fanno portare a scuola dalla mamma col Suv!”, “vanno in vacanza in aereo!”, “durante le manifestazioni buttano per terra la spazzatura!”, “non sanno neanche per cosa si sta manifestando!”, “in fondo non gliene frega niente!”, e così via.

La tattica è la seguente: si pronunciano innanzitutto affermazioni che non sono dimostrate dai dati di fatto. Ma è vero che i giovani che scendono in piazza si fanno portare a scuola dalla mamma col SUV? È vero che vanno in vacanza con l’aereo? È vero che buttano la spazzatura per terra? È vero che non sanno neanche per cosa si sta manifestando? È vero che in fondo non gliene frega niente? E se sì, quanti sono questi giovani (e per quante volte), sulle migliaia e migliaia di giovani che si stanno mobilitando? A queste domande non bisogna dare risposta, non bisogna neanche porsele.

Le affermazioni vengono così generalizzate e possono trasformarsi in pregiudizi, funzionali alla narrazione e alla rappresentazione che non intende affrontare i dati di fatto e i problemi del cambiamento climatico: “quei giovani sono (quasi) tutti così, idealisti incoerenti, ingenui manipolati o menefreghisti, immaturi e un po’ rompiscatole…”. Avendo spostato l’attenzione su un’immagine stereotipata, pregiudizievole e falsificata dei giovani d’oggi, non si parla più di come affrontare personalmente, socialmente, culturalmente e politicamente le potenziali catastrofi climatiche globali e locali che s’intravvedono all’orizzonte.

Questa immagine dei giovani permette infatti al mondo degli adulti di dirsi: “tanto sono come noi, anche loro in fondo sono incoerenti come noi, anche a loro in fondo non gliene frega niente come a noi, sono semmai solo più ingenui ed illusi di noi!”.  Ed ecco che in coscienza, volendo e senza farsi troppi problemi, possiamo continuare “a portare a scuola i nostri figli col SUV”, tanto non cambierà mai nulla, almeno per noi. Su come sarà invece il mondo quando i nostri figli e le nuove generazioni prenderanno il nostro posto, l’importante è riuscire a non pensarci.


Pensare, volere e agire il futuro


Magari bisognerebbe iniziare ad analizzare non solo il “mondo dei giovani”, ma anche il “mondo degli adulti”, e chiedersi perché per gli adulti (o per una parte di loro) l’immagine dei giovani sia sempre negativa. Solitamente i giovani ci appaiono come degli “sdraiati”, svogliati e senza interessi. Ora invece anche come coloro che hanno voglia di mobilitarsi per una causa. Per entrambe le rappresentazioni, per qualcuno comunque sembra che “non vadano mai bene”.

Probabilmente quando gli adulti si costruiscono un’immagine dei giovani, non stanno parlando veramente delle nuove generazioni, ma di loro stessi e della società degli adulti, così come quando un genitore pensa al proprio figlio potrebbe non vedere altro che la sua immagine di sé che ha proiettato su di lui.

Può essere utile partire da dei dati di fatto. Il futuro sarà con ogni probabilità molto meno “sopportabile” del presente, in particolare per le nuove generazioni: il clima, il problema delle pensioni, il crescere dei costi della salute, l’automatizzazione dei processi lavorativi, e così via. Rischiamo quindi di consegnare ai posteri una società peggiore di quella di cui gli adulti possono e hanno potuto beneficiare. Saranno i giovani a pagarci le pensioni e le cure mediche, saranno i giovani che faranno più fatica a trovare un posto di lavoro, saranno loro a vivere in un ambiente naturale distrutto dalle generazioni precedenti.

Per costruire un mondo “minimamente sopportabile” per chi vivrà dopo di noi, per affrontare e tentare di risolvere i problemi che si stagliano all’orizzonte, bisognerebbe innanzitutto iniziare a pensare, credere e volere che “un futuro sia possibile”. La risposta non può essere solo individuale, fondata unicamente sulla coerenza etica del singolo disposto a seguire uno stile di vita rispettoso ad esempio dell’impatto ambientale nei suoi comportamenti. La risposta deve essere collettiva, sociale e culturale, e non solo “morale”, e quindi profondamente “politica”, se per politica s’intende la costruzione, in nome del bene comune, di un senso dello stare insieme per noi e per le future generazioni.

Affinché ciò sia possibile, bisogna sovvertire il presente, bisogna spezzare e trasformare l’attuale sistema sociale, politico e culturale che pensa, vuole e agisce solo per il “qui e ora”. Significa oltrepassare l’individualismo imperante che crede che il benessere e il senso dello stare nel mondo risieda unicamente nella richiesta di soddisfazione dei propri desideri nel tempo presente. Significa andare al di là della narrazione del “sovranismo delle piccole patrie”, che, con la costruzione dei suoi muri mentali, fisici e simbolici, ci illude dicendoci che l’unica promessa di felicità possibile risiederebbe nella difesa egoistica dei nostri interessi personali e particolari. Significa prendere coscienza che non siamo immortali né saremo giovani per sempre, ma siamo esseri finiti e mortali la cui libertà più profonda risiede nella possibilità di trasformare il mondo per coloro che saranno dopo di noi.

I giovani che si stanno mobilitando al momento non stanno attaccando il “mondo degli adulti”. Stanno invece lanciando un appello alle vecchie generazioni affinché si faccia qualcosa per loro. Attaccare invece i giovani per quello che stanno tentando di fare vuol dire negare la fiducia che stanno riponendo in noi. La mancata risposta al loro appello segnerebbe la distruzione del patto intergenerazionale che ci è stato chiesto di sottoscrivere. Se così fosse, l’unica via d’uscita giusta e giustificata sarebbe il conflitto sociale intergenerazionale, nel quale la ragione non potrà che essere dalla loro parte.

Ma esiste un rischio ben peggiore, la vittoria dell’indifferenza. Ritornerebbe così a risuonare il ritornello del cinismo, “tanto sono come noi, anche loro in fondo sono incoerenti come noi, anche a loro in fondo non gliene frega niente come a noi”. Così tutti uguali, giovani e adulti, potremo tranquillamente tornare a tentare di soddisfare i nostri interessi e i nostri desideri individuali nel qui e ora, “sdraiati” e impauriti a costruire muri che negano l’Altro e la possibilità di un futuro.