sabato 14 gennaio 2017

Violenza e migrazione


(da Confronti, novembre 2016) 


Vi sono due processi in atto quando la rappresentazione sociale dominante collega violenza e migrazione: la “culturalizzazione dei problemi sociali” e la “logica del capro espiatorio”.
 
Questi due processi falsificano la realtà, fomentando pregiudizi e discriminazioni nei confronti degli stranieri, e non permettono di trovare delle soluzioni praticabili a problemi sociali quali la violenza e la criminalità diffuse all’interno della nostra società.

Facciamo un esempio: se un maschio di origine svizzera dovesse picchiare la moglie, tenderemo a spiegare questo problema secondo cause psicologiche e sociali (eventuali problemi di violenza subita durante lo sviluppo, emarginazione sociale, abuso di sostanze, problemi psicologici specifici, ecc.). Se invece un maschio arabo di religione musulmana dovesse picchiare la moglie, ecco che all’interno della nostra rappresentazione sociale spiegheremo questo fenomeno quasi esclusivamente secondo cause culturali e religiose: lo fa perché è nella sua cultura. La “culturalizzazione dei problemi sociali” nasconde così le possibili cause psico-sociali della violenza, non permettendo così di analizzare (e risolvere) il problema nella sua complessità. Questo non significa beninteso che la cultura non possa avere un peso, dovrebbe però emergere solo come una delle possibili cause del problema.

Nella narrazione sociale dominante riguardante il nesso tra violenza e migrazione vi è inoltre la tendenza di dare più spazio, sui mass-media e all’interno del senso comune, alla violenza e alla criminalità di chi è “venuto da fuori”, occultando la violenza e la criminalità “interne alla nostra comunità”, creando una percezione distorta della realtà. Ad esempio, secondo i dati ufficiali riguardanti la violenza domestica in Svizzera, nel 2014 sono avvenuti all’interno di nuclei famigliari 23 omicidi (il 63.9% del totale di tutti gli omicidi in Svizzera), 39 tentativi di omicidio, 72 casi di lesioni corporali gravi, 1879 casi di lesioni corporali semplici, e questo principalmente all’interno delle “nostre famiglie”.

Si mostra qui il secondo processo in atto, la “logica del capro espiatorio”. Questa logica tende a nascondere la violenza interna alla nostra società, costruendo una narrazione dominante che coglie i problemi sociali innanzitutto in quanto “importati da fuori”, proiettando la colpa sugli altri, “su di loro”. L’essenziale è che la responsabilità del degrado e del conflitto sociale, della relativa violenza e criminalità sia innanzitutto “loro”, e mai in prima istanza “nostra”: “noi” in quanto paladini e difensori della non-violenza, del rispetto dell’uguaglianza e della dignità di ogni individuo; “loro” in quanto provenienti da una cultura subalterna perlopiù violenta, discriminatoria e irrispettosa dei diritti dell’uomo.

Negare questa logica non significa, beninteso, che “loro” siano meglio di “noi”, ma iniziare a comprendere e giudicare le persone e i problemi sociali in maniera equa, sempre che crediamo ancora che la giustizia debba essere uguale per tutti.
Ma si fa fatica ad accettare che il male sia innanzitutto interno, a sopportare la verità che gli abusanti, gli stupratori e i pedofili vivono principalmente nelle nostre famiglie, siano “uno di noi”. Ammetterlo significherebbe diventare consapevoli del fatto che il nostro sistema sociale è in sé problematico, criminale e violento, che non viviamo nel migliore dei mondi possibili e che il sistema andrebbe cambiato.

Se il paradigma politico è però quello della conservazione dello status quo e della costruzione di muri che difendano la nostra tradizione, i nostri usi, costumi e valori supposti originari, e se non vi è nessuna apertura ad una visione di un futuro che possa essere migliore del qui e ora, allora agiranno i processi di “culturalizzazione dei problemi sociali” e della “logica del capro espiatorio” che criminalizzano il diverso, vedendo nello straniero la causa del problema, e mai nel sistema.

Questi processi tendono, in ultima istanza, a trasformare la violenza, i problemi e i conflitti sociali interni alla società in conflitti culturali e identitari tra “noi” e “loro”, permettendo a chi detiene o ambisce al potere di mantenerlo e/o conquistarlo, tramite iniziative quali l’espulsione dei criminali stranieri. Lo scopo ultimo, infatti, non è quello di risolvere la criminalità all’interno della nostra società, ma la costruzione e il mantenimento, grazie ad una rappresentazione falsificata della realtà, di un’egemonia politica e culturale.