mercoledì 1 febbraio 2012

Assistito. Note sulle società dei rifiuti (estratto).

(da “Ground Zero /Rifiuti”, n 4., febbraio 2012)

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Prima dell’epoca delle società dei rifiuti, identitarie, del consumo e del controllo, in cui (soprav-)vivono oggi i soggetti contemporanei destinati, se possono, a dover diventare qualcuno e a essere riconosciuti come qualcosa, nel rischio continuo di essere scartati e venir messi al bando, operavano le società moderne, disciplinari, della produzione, giunte al loro apogeo all’inizio del ventesimo secolo.

Nelle società disciplinari e della produzione le persone ai margini della società, estromesse dall’ordine sociale, potevano e dovevano un giorno essere reintegrate all’interno del sistema. Proprio per questo andavano (ri-)educate e disciplinate, talvolta punite, in nome di un supposto progresso sociale, civile e morale che, rendendo i soggetti docili e disponibili a diventare bravi figli-studenti-soldati-lavoratori-padri-cittadini, poteva e doveva, all’interno dello sviluppo di una vita e di una società, trovare a ognuno un suo collocamento.

Essere disoccupati durante l’epoca delle società della produzione significava essere in attesa di un’occupazione, che prima o poi (ti) sarebbe stata trovata. Essere carcerati durante l’epoca delle società disciplinari significava essere in attesa di reinserirsi nell’ordine sociale, per un periodo di tempo commisurato al danno inflitto all’ordine. I nemici della società erano quelli che non volevano e/o non potevano adeguarsi alle norme dello Stato – Famiglia – Lavoro, non diventando quell’identità stabile che il sistema assegnava: folli, anarchici, vagabondi,… L’attesa poteva poi anche diventare infinita, e molti non sarebbero stati né reintegrati né collocati. Ciò che rimaneva, però, a differenza di oggi, era l’orizzonte futuro ideale, morale, disciplinare in nome del quale si pensava che un giorno un posto nello spazio civile e sociale sarebbe stato trovato per ognuno.

Nelle società dei rifiuti odierne, del consumo e del controllo, la disoccupazione non è più congiunturale, ma strutturale: si può rimanere senza lavoro per un periodo di tempo prolungato, talvolta per sempre, nel circolo che conduce dalla disoccupazione all’invalidità, dalle assicurazioni sociali all’assistenza. Si può essere estromessi dall’ordine sociale anche se si desidera in ogni modo farne parte, nonostante poi la colpa sociale dell’assenza di lavoro sia imputata alle incapacità individuali. 

Essere criminali oggi vuol dire non più tanto dover lavare l’onta del danno commesso, essere ridisciplinati e potersi così ripurificare, ma portare per sempre lo stigma del proprio essere un rifiuto che non ha più diritto di partecipare al gioco sociale, restando in carcere il più a lungo possibile, altrimenti sempre ai margini e comunque sotto controllo per non nuocere ulteriormente. I nemici della società di oggi sono coloro che impediscono ai suoi membri attivi di godere appieno del tempo presente del consumo: essendo le risorse in quanto potere d’acquisto limitate, il nemico può essere lo straniero che ci ruba l’oggetto del desiderio (il lavoro come condizione di consumo), oppure può essere colui che si fa mantenere dallo stato (le tasse come diminuzione delle occasioni di consumo). Il peggio, lo straniero mantenuto.

Le società dei rifiuti contemporanee non postulano più un futuro come orizzonte ideale di (re)integrazione disciplinare di ognuno dei suoi membri in nome della produzione. La loro temporalità è invece segnata dalla circolarità del processo dei consumi, temporalità che vede nel futuro nient’altro che una nuova occasione di godimento da poter cogliere nel presente, un momento di piacere e di senso che, dopo l’attesa e passato l’attimo, svaniranno in un passato senza storia. Nell’utopia realizzata della globalizzazione tecno-capitalista, non vi è più un futuro segnato dal suo essere orizzonte per un progetto di realizzazione individuale (un lavoro, una casa, una famiglia per sempre e per i propri discendenti) e collettivo (un lavoro, una casa, una famiglia per tutti, anche per gli esclusi: “Produci e Lavora!”). Giunti al termine della Storia, vi sarebbe solo un eterno presente da cogliere nel suo essere occasione eterna di felicità, nell’obbligo morale del dover essere all’altezza del godimento imposto (“Consuma e Godi!”), tanto peggio per chi non ce la fa.
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