domenica 18 gennaio 2015

Appunti morali IX.: Parigi, gennaio 2015



(da laRegione del 18 gennaio 2015, Illustrazione di Sighanda)


Gli atti di terrore che hanno sconvolto Parigi non hanno solo ferito e ucciso, hanno anche colpito un simbolo, la Parigi laica e repubblicana della Rivoluzione francese, espressione dei principi che starebbero a fondamento delle nostre democrazie: libertà, uguaglianza e fratellanza (o, come si preferisce dire oggi, “solidarietà”).

Ma fino a che punto, all’interno delle nostre odierne società democratiche, questi principi vengono rispettati e fino a che punto vengono applicati con rigore e coerenza? La libertà di espressione è veramente garantita a ognuno? L’uguaglianza, intesa come “pari opportunità liberale”, è veramente concessa a tutti i cittadini? E la solidarietà e la giustizia sono tali di fronte ad ogni persona in quanto “essere umano”?

Coscienti del fatto che non sempre è facile, per non dire impossibile, esprimere e applicare integralmente questi ideali nella realtà, crediamo che le nostre “società democratiche” vadano difese anche e innanzitutto criticandone le contraddizioni e le incongruenze interne. Solo così si potranno rafforzare la coesione civile e l’integrazione sociale contro chi intende esacerbare il conflitto tra culture. Solo così i principi democratici potranno continuare a sopravvivere e non saranno sacrificati sull’altare di una supposta “guerra di civiltà” o della “guerra al terrore”. Solo così risponderemo con la forza dei nostri ideali, piuttosto che con la loro abdicazione e con la mera repressione, a coloro che intendono distruggerli.


La Libertà (di espressione, di opinione, di culto, di credenza…)

Oggi (quasi) tutti difendono e rivendicano il diritto alla libertà di espressione. Ma la libertà di espressione è in sé, come ogni libertà, problematica. Quando intendiamo rivendicarla bisognerebbe ricordarsi che ci si muove innanzitutto all’interno di un “conflitto etico”: da un lato la possibilità di poter dire ciò che ci pare e piace, e dall’altro il rispetto dell’altra persona e il rischio di poterla ferire con le nostre parole.

Ciò non significa beninteso giustificare in alcun modo il ricorso alla violenza fisica e all’assassinio nei confronti di chi avrebbe “offeso la sensibilità di qualcuno”, anzi. Le nostre società democratiche sono infatti in prima istanza fondate proprio sull’estromissione dalla convivenza civile di qualsiasi forma di violenza fisica. Ed è proprio per questo che è importante innanzitutto rivendicare il diritto alla libertà di parola: affinché le divergenze di opinione e i conflitti tra credenze non vengano espressi “fisicamente”, ma “verbalmente”, affrontati e mediati “a parole” all’interno dello “spazio democratico”.

In concreto, le vignette su Maometto di “Charlie Hebdo” hanno sicuramente urtato la sensibilità e “fatto del male” a delle persone di fede musulmana. Ciò non significa però ricorrere d’ora in poi alla censura o all’autocensura per la paura delle conseguenze della libertà di parola. Ma d’altra parte chi si è sentito offeso ha tutto il diritto, anzi il dovere, di esprimere il suo disappunto e la sua indignazione, anche lui “a parole”, affinché il conflitto venga “espresso culturalmente” e “mediato democraticamente” all’interno dei nostri “spazi pubblici”.

Nella rivendicazione del diritto alla libertà di parola, infine, affinché sia un diritto garantito a tutti in nome dell’uguaglianza di tutti i cittadini, e non un “privilegio” di una “maggioranza” a scapito di una “minoranza”, si richiede coerenza, coerenza che non sempre viene rispettata.

Primo esempio: la censura ad inizio 2014 da parte dello Stato francese (con un atto del potere esecutivo) del comico Dieudonné e dei suoi spettacoli. Ora, bisognerà pur “spiegare al Popolo” perché un comico che nei suoi spettacoli critica e attacca non solo l’Ebraismo, ma anche l’Islam e il Cristianesimo, venga censurato per motivi di “antisemitismo” e di “ordine pubblico”, mentre i vignettisti di “Charlie Hebdo” sono (giustamente) diventati dei paladini della libertà di espressione. Dieudonné viene visto da molti “ragazzi delle banlieue” come “uno di loro”. Le critiche e le offese all’Ebraismo e agli ebrei giustificano forse la censura mentre quelle all’Islam e ai musulmani un po’ meno?

Secondo esempio: la libertà di espressione, in particolare di credenza, viene fortemente limitata in Francia in nome dei “valori dello Stato laico e repubblicano”. È infatti vietato indossare qualsiasi indumento religioso all’interno della aule scolastiche pubbliche (“veli islamici”, ma anche “croci cristiane”, “kippah ebraiche”, ecc.). Le religioni possono così venire “pubblicamente” criticate e derise nei media, ma il singolo cittadino non è libero di esprimere “pubblicamente” la sua personale credenza. Lo Stato impone così all’individuo la sua cultura dominante, mentre lo spazio pubblico democratico, quale ad esempio un’aula scolastica, non può diventare un luogo di espressione, confronto e mediazione delle parole e delle credenze dei cittadini che ne fanno parte.

Terzo esempio: il divieto di costruire minareti in Svizzera è lesivo della libertà di espressione e di culto di una minoranza di cittadini che abitano sul nostro territorio. Questo divieto è ovviamente discriminatorio, non ha alcuna efficacia nel contrastare l’islamismo radicale e serve solo a far sentire i nostri concittadini musulmani meno integrati nella nostra società.

Quarto esempio: il divieto di “dissimulare il volto nei luoghi pubblici” nel Canton Ticino. A differenza del “divieto di costruire minareti”, questa legge, un tentativo maldestro e inefficace di rispondere ad una supposta “invasione di islamisti radicali”, ha come conseguenza la limitazione delle libertà individuali di tutti i cittadini, un’ulteriore vittoria dei nemici della libertà.


L’Uguaglianza (di diritti, di pari opportunità, di integrazione…)

L’uguaglianza non deve essere solo uguaglianza delle libertà individuali, ma anche uguaglianza delle opportunità, in quanto diritto alle pari opportunità per ognuno. Nessuno può essere discriminato in Svizzera, come recita la nostra Costituzione, “a causa dell’origine, della razza, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose…”. Garantire pari opportunità a tutte le persone che vivono all’interno di una società è la condizione indispensabile per costruire una pacifica convivenza civile e promuovere un’autentica integrazione sociale e culturale.

Non c’è nulla di peggio, quindi, e di più pericoloso oggi, che suddividere le nostre società tra un “Noi” (occidentali?, moderni?, liberali?, cristiani?,…) e un “Loro” (orientali?, medievali?, illiberali?, musulmani?,…). E questo non per “buonismo”, ma perché l’integrazione che passa attraverso le pari opportunità per tutti è la migliore arma, per non dire l’unica a titolo preventivo, per far sentire tutte le persone che abitano all’interno delle nostre società parte della nostra civiltà e contrastare potenziali conflitti e violenze sociali.

Solo così infatti i valori che tanto rivendichiamo non saranno solo i “nostri” di valori, ma potranno diventare anche i “loro”. Ciò significa tollerare e ascoltare la libertà di espressione, rispettare e promuovere i diritti e le pari opportunità anche delle persone di fede e origine musulmana. Ma significa anche non tollerare e contrastare quelle espressioni culturali che negano la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini, quale il fondamentalismo islamico, ma non solo.

Questo processo democratico, che deve saper promuovere un’autentica integrazione sociale e una pacifica convivenza tra persone di culture diverse, incontra oggi due ostacoli, opposti all’interno della nostra società e proprio per questo complementari, ostacoli che invece di aiutare a risolvere il conflitto e la disintegrazione sociale lo alimentano: la deriva xenofoba e antimusulmana da parte del populismo di destra, e la possibile tolleranza all’interno delle comunità musulmane del fondamentalismo che giustifica il terrorismo.

Chi alimenta oggi i pregiudizi antimusulmani e l’islamofobia non fa altro che esacerbare la “violenza sociale”, rendendosi responsabile della marginalizzazione e della discriminazione delle persone di origine musulmana. Una mano tesa a tutti i predicatori fondamentalisti che proprio nell’emarginazione dei giovani musulmani trovano il terreno fertile per trovare dei nuovi adepti. Per questi giovani ideali quali libertà e uguaglianza rischieranno di essere visti e vissuti come delle mere illusioni, o peggio, come delle conclamate menzogne, e sarà quindi più facile che si rivolgeranno altrove.

D’altra parte, mai come dopo le stragi di Parigi bisogna chiedere e instaurare con le comunità musulmane un’efficace collaborazione per sradicare qualsiasi apertura e convivenza da parte di qualcuno dei loro membri nei confronti dell’islamismo fondamentalista. Lo sappiamo, per la stragrande maggioranza dei musulmani gli atti terroristici non hanno nulla a che fare con la loro religione, sono anzi contrari all’insegnamento del “Profeta”. Ciò non toglie, però, che altri musulmani invece interpretino questo insegnamento come un’incitazione alla violenza e al terrorismo, come un invito ad una “guerra giusta”. Il lavoro, quindi, va fatto con e all’interno delle comunità musulmane.


La Solidarietà (la giustizia globale…)

Infine, non possiamo dimenticare che tutto ciò che avviene all’interno di un mondo globalizzato solleva anche in Europa delle “domande di giustizia” e ha oggi un’influenza diretta sulle “rappresentazioni del mondo” di chi abita all’interno delle nostre società.

Non si può più credere che ciò che accade in Siria, Iraq o Palestina non abbia valore e significato anche all’interno delle nostre realtà locali. Questo perché ad esempio uno può sentirsi terribilmente vicino ai bambini palestinesi uccisi a Gaza osservando e commentando le immagini dei loro corpi martoriati sullo schermo di casa sua. Ma anche perché non si possono più negare le responsabilità politiche, sociali ed etiche dell’Occidente “liberale” e “democratico” di fronte alle tragedie che avvengono nel resto del mondo.

Oggi non è più possibile invocare il rispetto dei principi di giustizia, libertà, uguaglianza e solidarietà solo per e all’interno dei nostri Stati-Nazione. Bisogna promuoverne e sostenerne con coerenza l’attuazione anche all’interno della “Comunità Mondiale”. Questo non significa che l’Occidente sia l’unico responsabile delle tragedie del mondo, ma significa accettare che ne siamo in ogni caso co-responsabili insieme agli altri cittadini del mondo.

È quasi inutile ricordare come il nuovo terrorismo rappresentato dall’Isis sia stato (anche) reso possibile dai tragici errori e dall’ingiustizia della guerra all’Iraq e della sua “ricostruzione mancata”. Che immagine diamo inoltre al mondo e ai suoi “giovani che cercano giustizia” quando alle parole del leader palestinese Abu Mazen, un “arabo-musulmano moderato” disposto al dialogo e contrario a ogni forma di violenza, non si fa che rispondere con l’occupazione, la colonizzazione e l’uccisione della Palestina? E dove risiede il rispetto dei nostri principi “civili” e “democratici” quando uccidere con delle armi da fuoco Osama bin Laden significa che “giustizia è stata fatta”, e quando ancora oggi qualcuno crede che la tortura e la pena di morte siano giustificati all’interno di una “guerra per la civiltà e la democrazia”?