giovedì 7 maggio 2015

Appunti morali X.: Droghe





(da laRegione del 2 maggio 2015) 




Perché non sono libero di farmi una canna quando, come e dove voglio? Fumare uno spinello che male arreca agli altri e alla società? Se la mia libertà finisce dove inizia la libertà degli altri, potrei anche convenire che non è il caso di fumare in faccia a qualcuno che non desidera essere affumicato, così come non è del tutto opportuno mettermi alla guida quando sono un po’ fatto.

Ma al di là dei rischi legati alla pubblica sicurezza e dei disturbi che posso provocare a qualcun altro, perché lo stato deve vietare un gesto che a me provoca piacere, e mi deve dire come dovrei vivere, imponendomi ciò che crede una “vita buona e virtuosa”, vietandomi ciò che reputa invece una “vita cattiva e viziosa”? Ma perché non potrei essere libero talvolta anche di farmi un tiro di coca o di assaporare ad esempio i piaceri dell’oppio? Lo farei sporadicamente, facendo attenzione a non diventarne dipendente, in ogni caso vorrei essere io a prendermi le responsabilità per la mia vita.

Non tutto ciò che può (anche) far male alle persone viene sempre vietato, così come non tutto ciò che può (anche) far del bene alle persone è sempre permesso. Ad esempio, se io mangio giornalmente cibo spazzatura e pranzo regolarmente nei fast-food, sicuramente a lungo andare il mio corpo ne risentirà e non starò mica tanto bene, ma è questa una ragione sufficiente per vietare i cibi malsani? Anche il gioco d’azzardo può fare molto male, ma nonostante ciò le visite ai casinò, invece di venire vietate, vengono perlopiù promosse, ad esempio tramite la pubblicità. D’altra parte, sono oramai noti e scientificamente dimostrati gli effetti benefici della canapa, se consumata in dosi moderate e con modalità adatte, e quindi perché non sono libero di farmi ogni tanto una tisana alla marijuana contro la mia ansia, devo per forza mandar giù una Temesta?

I fautori della sicurezza e della salute pubblica sosteranno che probabilmente taluni, in caso di depenalizzazione, potrebbero fare anche un uso moderato e consapevole di certe sostanze, ma molti, probabilmente troppi, non sarebbero in grado di controllarsi, troppo alti sarebbero i rischi per la loro salute e per le loro vite, e per la “salute pubblica” nel suo complesso. Non tutti sono cittadini autonomi e responsabili, e per questo lo stato ci dice cosa (non) fare. Ma allora perché la canapa, la cocaina e gli oppiacei no, e il gioco d’azzardo, l’alcol e le sigarette sì?


Perché non vietare il tabacco? Libertà individuale e benessere pubblico.

Sappiamo tutti che fumare troppe sigarette fa male, così come abusare dell’alcol non fa sicuramente bene. Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio federale della sanità pubblica, in Svizzera il tabacco è responsabile di circa 9000 decessi prematuri l’anno e il suo consumo pesa sull'economia nazionale svizzera con costi pari a circa 10 miliardi di franchi all'anno. L’alcol è invece responsabile di circa 1600 decessi all’anno e il suo consumo pesa sull'economia nazionale con costi pari a circa 4,2 miliardi di franchi all'anno. I decessi per consumo di droghe pesanti sarebbero invece solo poche centinaia all’anno. Ma allora perché, per il rispetto della coerenza dei principi e comparando gli effetti negativi delle varie sostanze, non si vieta del tutto anche il consumo di alcol e sigarette? O non si depenalizzano le droghe illegali?

Possiamo immaginare che molti, anche non fumatori, si opporrebbero al divieto assoluto di consumare tabacco. Riterrebbero questa norma lesiva della libertà individuale di poter fare con se stessi ciò che ci pare e piace, un’eccessiva intromissione dello stato negli affari privati dei suoi cittadini. Vada per il divieto nei luoghi pubblici perché si fa del male agli altri, ma nel privato non c’è la libertà talvolta anche di farsi del male?

Al di là del fatto che uno è (ancora) libero di diritto di potersi fumare una sigaretta, non si può però negare che lo stato e la società le provino tutte per farci passare la voglia del consumo. Il tabacco è sicuramente uno dei vizi oggi più stigmatizzati dalla società: brutte scritte e foto oscene sui pacchetti, divieto della pubblicità e costo elevato delle sigarette, fino all’indignazione pubblica di fronte a qualcuno che nonostante tutto osa ancora accendersi una sigaretta. La domanda allora, più psicologica che etica, sarà perché qualcuno, nonostante tutto, riesca a continuare in coscienza a fumare.

Per contrastare il consumo di sigarette poco si potrebbe ancora fare, se non tentare di vietarle del tutto. Questo divieto non potrebbe infatti essere giustificato, in nome della salute e del benessere pubblici, e per via dei costi umani, sociali ed economici di cui il tabacco è responsabile? Ma non si reputerebbe appunto questa legge eccessivamente “liberticida”? Inoltre, se si volesse portare il ragionamento utilitarista alle sue estreme conseguenze, invece di reprimere del tutto il consumo di tabacco basterebbe fare in modo che le tasse statali prelevate dal consumo di sigarette coprano i costi che questa droga causa alla società nel suo complesso, come (perlomeno in parte) già avviene.

Nelle varie politiche volte alla promozione della salute e della sicurezza vi è spesso, da un punto di vista etico, un conflitto tra opposti principi: la libertà individuale da un lato e la sicurezza e il benessere collettivo dall’altro. Fino a che punto siamo disposti a reprimere la libertà individuale in nome della sicurezza e della salute pubblica, e fino a che punto siamo disposti invece a tollerare la libertà individuale a scapito del benessere sociale? All’interno di una società democratica questo conflitto non può che essere mediato all’interno di un dibattito pubblico.

Si prenda l’esempio delle norme stradali: più diminuiamo la velocità massima sulle nostre strade, più riusciamo a diminuire, come oramai è dimostrato, i rischi di incidenti stradali. Ma saremmo veramente disposti in nome della sicurezza pubblica a diminuire la velocità a 100 km/h sulle autostrade o a 60 km/h sulle strade cantonali? D’altra parte, chi vuole aumentare la velocità massima a 140 km/h sulle nostre autostrade dovrebbe perlomeno assumersi la responsabilità delle conseguenze: l’aumento dei “danni umani e sociali”, i costi della libertà individuale. L’obbligo delle cinture di sicurezza, infine, è un ulteriore esempio di uno stato che non si preoccupa e si prenda cura solo dei danni che possiamo fare agli altri, ma anche a noi stessi, anche perché il male che arrechiamo a noi stessi ha poi sempre anche delle conseguenze negative, dirette o indirette, per gli altri.


Perché non prendersela con l’alcol? Droghe e culture.

Visti i costi in termini di vite umane, ma anche sociali e economici, causati dall’alcol, perché il consumo di questa sostanza non viene maggiormente stigmatizzato come avviene per il tabacco? Non sarebbe opportuno ad esempio scrivere sulle bottiglie di vino e birra che l’alcol può far male, vietarne del tutto la pubblicità e aumentare considerevolmente le tasse statali sugli acquisti di prodotti alcolici? Non sarebbe pure auspicabile, come per le sigarette, stigmatizzarne l’abuso, ad esempio di fronte a feste popolari dove cittadini adulti e normali si concedono pubblicamente al vizio, rendendolo socialmente accettabile?

Probabilmente la ragione sostanziale della forte tolleranza nei confronti dell’alcol è che è parte integrante della nostra cultura, di usi radicati nel tempo, costumi che non siamo disposti ad intaccare. La ragione non è il piacere, quindi, che l’alcol può dare. Il piacere lo possono dare anche la sigaretta, la canna o la coca. È il riconoscimento sociale che rende una determinata droga un vizio pubblico ben tollerato e accettato, a scapito dei suoi costi umani e sociali.

Ogni cultura accetta determinate droghe mentre ne ripudia altre. Certe società se la prendono con l’alcol, altre invece approvano tranquillamente l’uso di cocaina o di allucinogeni. La questione essenziale, quindi, non è quella di giudicare positivamente o negativamente una determinata droga in se stessa, per i suoi effetti benefici o malefici sul singolo individuo. Si tratta invece di giustificare razionalmente le scelte pubbliche nei confronti delle singole sostanze. Se i nostri principi fondamentali sono la libertà individuale da un lato e il benessere e la sicurezza sociale dall’altro, è meglio proibire o depenalizzare il consumo?


Conseguenze della depenalizzazione

Ammesso e non concesso che non siamo disposti a proibire del tutto l’alcol e il tabacco, si pone infine la questione del perché le altre droghe debbano rimanere illegali. Se ragioniamo unicamente a partire dal principio della libertà e della responsabilità individuale, se rifiutiamo l’idea di uno “stato etico” che ci vuole imporre cosa (non) fare, e la nostra massima ultima rimane “la mia libertà finisce dove inizia la libertà degli altri”, allora diventa molto difficile giustificare razionalmente il divieto di tutte le droghe oggi illegali.

D’altra parte, saremmo veramente disposti da subito a depenalizzare tutte le sostanze il cui uso oggi è reato? Cosa succederebbe se da domani potessimo consumare liberamente canapa, cocaina e oppiacei vari? La prima risposta razionale dovrebbe essere, al di là del timore irrazionale di questo “salto nel vuoto”, che non lo sappiamo con certezza. Ma anche se non lo sappiamo, non possiamo non provare a immaginare e calcolare le conseguenze positive e negative, in termini di piacere e dispiacere, di benessere collettivo e di sicurezza pubblica, i costi e i benefici umani, sociali ed economici della depenalizzazione.

Per le droghe pesanti le conseguenze sono probabilmente più difficili da calcolare. Per la canapa, invece, è più facile, perché è oramai diventata parte integrante della nostra cultura e, nonostante il proibizionismo, il suo consumo continua ad aumentare. Oramai sappiamo che anche la canapa può far male, il suo utilizzo regolare che trasforma l’uso in abuso può ripercuotersi negativamente sullo sviluppo psichico, fisico e sociale, in particolare nei giovani, ma non solo. D’altra parte, anche gli “abusi legali” di certe sostanze e di certe pratiche possono fare molto male. Inoltre, nei paesi dove è stata depenalizzata non si è assistito ad un aumento del consumo.

Infine, la depenalizzazione permetterebbe: di controllarne maggiormente la qualità, l’uso e il consumo, di contrastare il business della criminalità organizzata, di allontanare i consumatori dagli spacciatori, di imporre una tassa statale sull’acquisto, di lanciare delle campagne di prevenzione dei problemi di salute legati all’abuso. Ciò che proibito rischia spesso di fare più male, proprio perché è illegale. Che un giorno anche sui pacchetti di marijuana ci sarà scritto che il suo consumo può far male?



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