venerdì 15 aprile 2022

Critiche al pacifismo e l'idealismo della "guerra giusta"

(da I Naufraghi del 14 marzo 2022) Leggi anche qui.

Troppo facile criticare i pacifisti perché sarebbero delle “anime belle”, degli “idealisti” che vivrebbero in un mondo illusorio di pace e amore, persone che non vogliono “sporcarsi le mani” perché non accettano il fatto che ci sarebbero delle “guerre giuste”, come quella di difesa e di resistenza dell’Ucraina, che bisogna avere il coraggio di sostenere.

A critiche di questo tipo si può innanzitutto controbattere che un conto è essere dei cittadini ucraini che vivono nel loro Paese e che sono costretti a fare una scelta drammatica tra imbracciare le armi o fuggire, un conto invece è farlo rimanendo seduti al caldo e continuando a vivere in sicurezza nei nostri Paesi occidentali.

Fino a prova contraria, chi sostiene a parole una “guerra giusta” non si sta sporcando di più le mani di un pacifista che a parole ripudia la guerra come forma di risoluzione dei conflitti. Si può inoltre solo sperare che chi attacca le posizioni pacifiste non si spinga fino al punto di negare agli uomini ucraini il diritto alla fuga e all’obiezione di coscienza, e non intenda sostenere moralmente la loro eventuale punizione per reato di diserzione.

Affermazioni poi come quelle di Roberto Scarcella apparse sulle pagine de “La Regione” quali “ripudiare la guerra altrui solo perché la si osserva da lontano è miserando, oltre che adolescenziale” (suo commento del 3 marzo) perché il pacifismo sarebbe un atteggiamento “romantico, da scuola elementare” (suo commento dell’11 marzo), oltre che denotare una certa mancanza di rispetto nei confronti di chi la pensa diversamente dal giornalista, sono pure un ulteriore segnale di quanto sia difficile costruire un confronto democratico costruttivo e adulto attorno alla guerra.

Si pensi anche, per fare un ulteriore esempio in questo contesto, agli attacchi pubblici dal vago sapore maccartista a cui sono stati sottoposti in Italia pensatrici e pensatori come Donatella Di Cesare e Alessandro Orsini solo perché hanno osato proporre un’interpretazione differente rispetto al pensiero dominante sul conflitto in Ucraina.

Quando si tratta di giustificare una guerra, oggi come in passato, riemerge spesso, in particolare a sinistra, un certo idealismo volto a celebrare, legittimare e sostenere ad oltranza le “giuste cause” di una guerra di difesa, resistenza e liberazione. Si pensi ai racconti favolistici e immaginari della guerra partigiana, della Bolivia di Che Guevara, della lotta dei Mujaheddin contro i Talebani e così via.

In queste posizioni, che a livello ideale si potrebbero anche condividere, ci si dimentica purtroppo spesso, o si preferisce non vedere, la nuda, cruda e complessa realtà geopolitica, storica e umana di un conflitto, nonché le sue conseguenze reali a corto, medio e lungo termine.

Siamo davvero così sicuri che chi continua a sostenere ad oltranza la “giusta guerra” dello stato ucraino sia meno idealista e più realista di un pacifista che chiede di interrompere immediatamente il conflitto per promuovere una trattativa di pace col nemico e tentare una mediazione?

Se si vuole veramente guardare in faccia alla realtà siamo all’interno di un conflitto tragico tra pace e giustizia. Il pacifista dovrebbe essere consapevole che, se vuole la pace e intende ridurre il più possibile le sofferenze, le vittime e le tragedie della guerra, dovrebbe essere disposto a sporcarsi le mani scendendo a patti col nemico.

Chi invece sostiene il principio della “guerra giusta” dovrebbe invece avere il coraggio di ammettere ed accettare il sacrificio che sta chiedendo ad una popolazione in nome del suo ideale di giustizia, in termini di sofferenze, vittime e tragedie umane; dovrebbe chiedersi se ne valga davvero la pena e se la battaglia possa in qualche modo essere vinta, costi quel che costi.

Ma se invece lottassimo per un’idea di pace che sia realisticamente la meno sbagliata possibile, dimenticando i nostri ideali massimalistici, sia di una pace senza compromessi, sia di una “guerra giusta”, che esistono perlopiù solo nelle nostre fantasie?

O se perlomeno smettessimo di delegittimare e denigrare chi osa sollevare critiche nei confronti della narrazione della “guerra giusta”, e iniziassimo a confrontarci democraticamente e con rispetto reciproco su quali potrebbero essere le possibili soluzioni pratiche e vie d’uscita reali per provare a fermare l’orrore, sempre che si voglia veramente prima o poi provare a fare la pace?



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