lunedì 28 luglio 2025

Parlare della Shoah dopo Gaza

(laRegione, 17 giugno 2025)
Si può ancora parlare oggi della Shoah rimanendo in silenzio sulla situazione in Palestina? Si può continuare a mantenere le due tragedie distinte oppure è necessario tentare di metterle in relazione? 
Questi interrogativi me li pongo anche come docente, in particolare da quando è iniziato il massacro della popolazione civile di Gaza. Nel mio insegnamento ho sempre cercato di spiegare come la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e altri possibili valori condivisi nascano anche come risposta alla tragedia della Seconda guerra mondiale e della Shoah. Ed ecco che fra le allieve e gli allievi più accorti e attenti si solleva la domanda, a volte ad alta voce, altre volte in maniera a malapena sussurrata: ma quindi la Palestina?
A questa domanda ho tentato di rispondere che non era il caso di aprire la discussione sulla situazione in Medio Oriente, oppure dicendo che i due casi andrebbero trattati separatamente. Non soddisfatto di queste risposte, mi sono anche chiesto se abbia ancora senso, oggi, continuare a parlare della Shoah in classe. Troppo ingombrante sarebbe lo spettro della tragedia mediorientale che si aggirerebbe in aula. La rimozione in ultima istanza non può però essere la soluzione. 
Per uscire dal vicolo cieco, ci si può chiedere quale sia il valore morale ultimo che è stato violato nei campi di sterminio nazisti. Forse il male più radicale che degli esseri umani hanno inflitto ad altri essere umani, negando in modo estremo la dignità e i diritti fondamentali che andrebbero riconosciuti a ogni persona, indipendentemente dalla sua identità etnica, religiosa, culturale, nazionale?
Oppure una volontà di distruzione unica ed eccezionale degli ebrei e dell’ebraismo in quanto tale? Dalle camere a gas si alza il grido disperato di una comune umanità soffocata e tradita, o il grido di un’identità e comunità particolare vittima di un male assoluto incomparabile con altre tragedie della storia?
Se è vera e si crede nella prima ipotesi, allora è possibile pensare alle analogie tra il male radicale compiuto dal nazismo e altri crimini contro l’umanità, quali quelli che Israele sta compiendo contro la popolazione palestinese ma anche quelli che Hamas ha compiuto e vorrebbe compiere contro la popolazione israeliana. Questo non significa equiparare il male, tacciando Israele o Hamas di nazismo, ma analizzare e valutare dal punto di vista etico e giuridico i vari crimini. La gravità morale e penale di casi di genocidio, pulizia etnica e sterminio di un popolo possono variare, così come la relativa condanna. 
Se invece fosse vera e si credesse nella seconda ipotesi, allora l’imperativo etico del “mai più!” che emerge dagli orrori della Shoah rischia di non essere rivolto alla difesa della dignità di ogni essere umano con la sua identità ogni volta unica e singolare, ma di trasformarsi in una difesa esclusiva dell’identità ebraica in quanto tale, che può trovare nello Stato d’Israele il suo rifugio materiale e spirituale e la sua ragione ultima di esistere, costi quel che costi.
Visitai il memoriale di Auschwitz più di un decennio fa. Tra le varie scene che mi sono rimaste impresse nella memoria vi è quella a cui ho assistito nel blocco 5, dove sono esposti migliaia di oggetti personali delle persone sterminate nelle camere a gas. Nella sala vidi una scolaresca di ragazze e ragazzi israeliani che sventolavano enormi bandiere israeliane gridando insieme con orgoglio “Eretz Israel!”. Ai tempi la scena mi infastidì più che altro perché ruppe il silenzio glaciale nel quale stavo provando con fatica a elaborare l’orrore. 
Oggi pare tutto più chiaro. Sembra che una parte importante delle persone di cultura e fede ebraica abbia deciso di rispondere a quel che è stata la Shoah in maniera identitaria, etnica, nazionalista, religiosa. La Shoah darebbe loro il diritto di costruire con la violenza una “Grande Israele” dal fiume al mare, a scapito dei diritti fondamentali e della dignità dei palestinesi. Il ricordo dei campi di sterminio può farsi volontà di potenza, vendetta e distruzione di un altro popolo, rendendo Israele terribilmente simile al fondamentalismo islamico potenzialmente genocidario di Hamas.
Che senso ha ricordare i crimini contro l’umanità del passato se non ci permettono di contrastare i crimini contro l’umanità del presente? Se Israele fa delle tragedie del popolo ebraico un modo per giustificare sé stesso e far tollerare al resto del mondo i suoi crimini contro il popolo palestinese, allora la Shoah non può che perdere il suo significato etico e pedagogico ultimo di male radicale compiuto contro l’essere umano in quanto tale. 
Il “mai più!” può trasformarsi così in un ancora, ancora e ancora, in un circolo vizioso senza fine di violenze, crimini e orrori, che può essere interrotto solo provando a cogliere il grido disperato di una comune umanità soffocata e tradita.

La Russia attaccherà ancora l’Europa?

(laRegione, 23 aprile 2025)
Nessuno possiede la sfera di cristallo per sapere se un giorno la Russia attaccherà nuovamente l’Europa. Prevedere con certezza azioni, reazioni e decisioni future di esseri umani, gruppi sociali e Stati è impossibile. Si possono solo immaginare scenari ipotetici. 
Uno di questi potrebbe essere il seguente: “Gli Stati Uniti non danno più garanzie di difesa al continente europeo. La guerra in Ucraina termina in maniera favorevole per la Russia, con un’Ucraina disarmata e neutrale che ha ceduto parte dei suoi territori alla Russia o trasformata in una nuova Bielorussia. Le sanzioni contro la Russia vengono vieppiù allentate. Putin si prende il tempo per riorganizzare il suo esercito continuando ad armarsi. 
La Russia decide tra qualche anno, per motivi geopolitici, imperiali e di sfere di influenza, di attaccare e invadere i Paesi Baltici, membri dell’Unione europea, della zona euro e della Nato, con una popolazione complessiva di sei milioni di abitanti e un territorio inferiore a un terzo dell’Ucraina.
La vittoria permetterebbe alla Russia di ricongiungersi territorialmente con la sua enclave di Kaliningrad attualmente staccata dal resto del Paese, di annettere territori con minoranze russofone che già le appartenevano durante gli imperi zarista e sovietico, di avere il controllo di una parte considerevole del Mar Baltico e, insieme alla Bielorussia e all’Ucraina, dell’Europa orientale. La vittoria potrebbe inoltre provocare la fine definitiva della Nato in caso non scattasse il meccanismo di difesa congiunto”.
La questione non è se questo scenario si realizzerà di sicuro oppure no, ma quanto alto percepiamo e valutiamo il rischio che possa accadere. Il rischio viene valutato più alto nei Paesi Baltici e in generale nel Nord ed Est Europa che non nei Paesi del Sud. Questa differenza può essere causata innanzitutto dal fattore geografico. La possibilità che la Russia aggredisca, ad esempio, l’Italia o la Spagna (o la Svizzera) è infinitamente più bassa che non i Paesi Baltici.
Ma conta anche la storia e la relativa narrazione e rappresentazione che ogni Paese ha della Russia. Per diversi Stati dell’Est e del Nord Europa la Russia rappresenta l’impero zarista e quello sovietico che li hanno invasi, occupati, represso la loro libertà, cultura, identità. L’invasione russa dell’Ucraina ha fatto riemergere drammi e traumi ancora ben presenti nella loro memoria collettiva.
Il fatto di essere favorevoli o meno alla costruzione di una difesa europea condivisa dipende anche e in particolare dalla percezione e dalla valutazione di quanto sia alto il rischio di una nuova aggressione, e da cosa si è disposti a fare di conseguenza per assicurarsi contro questo rischio. Avere in futuro una forte deterrenza militare che convinca Putin che non gli conviene attaccare? O in caso ci provasse avere un esercito che possa vincere una guerra di difesa e resistenza?
Oppure un’Europa disarmata che riprenda a dialogare e fare affari con la Russia, nella speranza che non ci riprovi e non chieda troppe concessioni in cambio? Chi, in nome della pace, giunge ad accettare un’espansione della sfera di influenza russa in Europa spesso non abita in Paesi dell’ex blocco sovietico e/o che erano parte dell’impero zarista. È più facile e conviene di più politicamente essere “pacifisti” in Italia e in Spagna (o in Svizzera) che non nei Paesi Baltici, scandinavi o in Polonia.
Nei continui appelli e critiche all’Europa cosa si chiede veramente al Vecchio continente? Il bene dell’Europa nel suo complesso o solo la difesa e la promozione del proprio interesse personale e nazionale? Esigere un’Europa di pace significa volere la pace e la sicurezza per tutti i Paesi europei, o si sta pensando solo alla propria pace personale e a quella della propria nazione, perché in fondo poco ci importa del destino dei Paesi dell’Est?
Si immagini solo per un attimo che conseguenze potrebbe avere un’invasione vittoriosa dei Paesi Baltici sull’Europa nel suo complesso. Invece della pace avremmo un’altra guerra che, oltre a nuove morti, tragedie e profughi, potrebbe causare lo sfaldamento dell’Unione europea, un ulteriore rafforzamento dei sovranismi, una crisi economica senza precedenti negli ultimi decenni. Che è poi anche l’obiettivo a cui pare puntare l’amministrazione Trump: i singoli Paesi europei trasformati in vassalli politici ed economici dell’imperialismo americano. Quanto è alto il rischio che ciò accada? E se avvenisse sarebbe veramente nel nostro interesse?

Nella morsa degli imperi

(laRegione, 1 marzo 2025)
A Ovest la pressione del nuovo imperialismo americano di Trump, a Est il revanscismo imperiale di Putin sostenuto dal Celeste impero di Xi Jinping. In mezzo un’Europa in crisi che fatica ad affermare una visione e un progetto politico, valoriale, culturale alternativo al dominio degli imperi.
L’Europa attuale nasce innanzitutto dalle ceneri delle sue due guerre mondiali e dalla morte, sul campo di battaglia, dei suoi imperialismi e nazionalismi. Nasce in un secondo momento dopo il crollo del muro di Berlino e la fine dell’imperialismo sovietico, quando anche i Paesi dell’Est hanno potuto iniziare a fare propri principi quali libertà, democrazia e autodeterminazione dei popoli. 
In nome del rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, l’obiettivo era che tra i Paesi europei non ci fossero mai più guerre, e che si potesse creare un progetto di convivenza reciproca alternativo a qualsiasi imperialismo e nazionalismo, di cui l’Europa era stata vittima e artefice. 
La pressione odierna degli imperi sul vecchio continente non è solo economica e militare, ma anche morale e culturale, oltre che politica. Sia gli Usa di Trump che la Russia di Putin e la Cina di Xi condividono infatti una comune avversione contro i valori fondanti l’Europa, quali un ordine internazionale fondato sulla supremazia della legge sulla forza, la liberal-democrazia, i diritti fondamentali degli individui e dei popoli.
Non è però solo la pressione esterna a mettere in crisi l’ideale di Europa, ma anche l’influenza crescente di quei partiti e governi europei sovranisti che vedono in qualsiasi principio e ordine sovranazionale, Unione europea in primis, un attacco alla loro sovranità e identità nazionale. Non per nulla questi partiti e governi simpatizzano, talvolta identificandosi culturalmente, con gli Usa di Trump e la Russia di Putin, Trump e Putin che a loro volta li usano come cavalli di Troia per indebolire il progetto europeo, al fine di poter affermare con ancora più forza i loro interessi e desideri di egemonia.
I problemi dell’Europa sono noti e sono molti. Uno degli errori di fondo è stato quello di costruire l’Unione sul libero mercato da un lato e su una burocrazia tecnico-giuridica centralizzata dall’altro, come se bastassero l’economia e la sua regolamentazione per dare identità, comunità e diritti ai suoi cittadini. 
La grande assente è una politica democratica di livello europeo che non rimanga relegata all’interno dei singoli stati-nazione, in grado di affrontare le sfide degli imperi. In particolare in politica estera e di fronte alle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani in Ucraina e in Palestina, l’impotenza assordante del vecchio continente rischia di schiacciarlo nella morsa di coloro che, negando i diritti fondamentali degli individui e dei popoli, intendono imporre il loro dominio imperiale e coloniale nel mondo in nome della legge del più forte.
La crisi però non è solo dell’Unione europea ma anche della Svizzera, anch’essa incapace di esprimere in maniera chiara i suoi principi e valori fondamentali, in bilico com’è da decenni tra un isolazionismo sovranista e la difesa di diritti sovranazionali da poter condividere con il resto del mondo. 
Da un lato la narrazione mitologica nazionalista di un Paese che si sarebbe fatto da sé, che lotterebbe da sempre contro i nemici esterni per difendere la sua sovranità unica ed esclusiva. Da qui una neutralità integrale che non vuole prendere posizione di fronte alle violazioni dei diritti fondamentali, al fine di poter fare affari con tutti, anche con i peggiori criminali, oggi come in passato. 
Dall’altra parte una Svizzera che ritrova, nella sua storia, quegli stessi valori che potrebbe condividere con l’ideale di Europa, quali la libertà, i diritti umani, la democrazia, il federalismo, la resistenza contro gli imperialismi che negano il diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Ai Paesi europei, Svizzera inclusa, rischia di imporsi una scelta. Rinchiudersi nei propri nazionalismi e farsi concorrenza a vicenda per essere i vassalli preferiti dagli imperatori. Oppure affermare, insieme, un progetto politico, valoriale e culturale che ribadisca, contro ogni imperialismo e nazionalismo, i diritti fondamentali degli individui e dei popoli e la supremazia della legge sulla forza. 
Se vincesse la prima opzione, l’ideale di Europa potrebbe diventare solo una reliquia del passato, relegata nei libri di storia e ridotta ad attrazione turistica, un museo a cielo aperto dove si potrà sempre mostrare al resto del mondo e alle future generazioni ciò che avrebbe voluto e potuto essere il vecchio continente.

Chi ha ucciso il diritto internazionale?

(laRegione, 23 gennaio 2025)
Chi contribuisce alla distruzione di quel diritto internazionale, fondato sulla Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che dopo la Seconda guerra mondiale e la caduta del muro di Berlino avrebbe dovuto garantire la pace nel mondo?

Sul banco degli imputati gli attori sono molti, provengono da destra e da sinistra, da Occidente e dal resto del mondo. Si trovano tra gli amanti della pace a tutti i costi e tra i sostenitori a oltranza della guerra giusta, tra coloro che rivendicano diritti solo quando conviene alla loro parte, mentre fanno finta di non vedere quando è la loro di parte a violare quei diritti che dovrebbero valere per tutti.

Responsabili sono innanzitutto gli Usa e il loro imperialismo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ad esempio, con la loro invasione dell’Iraq hanno violato i principi di sovranità statale e integrità territoriale, facendosi beffe dell’Onu.

A ciò si aggiungono tutti i doppi standard morali e legali degli Usa e dell’Occidente, che raggiungono il loro apice d’ipocrisia nei silenzi e nell’omertà di fronte ai crimini contro l’umanità di Israele, governo israeliano che ha fatto dell’attacco al diritto internazionale uno dei suoi obiettivi conclamati.

Ma sul banco degli imputati non vi è solo l’Occidente. La crisi dell’ordine internazionale viene sfruttata anche dalle autocrazie del resto del mondo per poter imporre le loro volontà di potenze imperiali e coloniali. Come amano ripetere Cina e Russia, violando l’Occidente il diritto internazionale, allora non si capisce perché non possano farlo anche loro.

Se da un lato la critica ai doppi standard occidentali è sicuramente giustificata, dall’altro questa critica non è destinata ad affermare, all’interno di un nuovo ordine globale multipolare, principi di giustizia universali fondati sulla legge. Emerge invece uno scenario nel quale non vale più la forza della ragione e del diritto, ma unicamente la ragione della violenza e della guerra in nome della legge del più forte.

Chi sostiene, intenzionalmente o meno, all’interno delle opinioni pubbliche occidentali questo scenario nel quale i vari imperialismi e colonialismi, siano essi occidentali o orientali, sono disposti ad affermare con le armi i loro desideri di egemonia nel mondo?

Sostenitori si trovano in quelle posizioni “pacifiste” di (estrema) sinistra che, in nome della pace a tutti i costi e di un antiamericanismo ideologico e pregiudiziale, sono disposte a sacrificare il diritto internazionale e il principio all’autodeterminazione, volendo ad esempio imporre a priori all’Ucraina la cessione di suoi territori all’imperialismo russo. Trattasi di voci che spesso, d’altra parte, denunciano la violazione di quegli stessi principi quando si tratta del popolo palestinese. Risultano pure un po’ meno pacifiste quando tendono a comprendere, per non dire giustificare, le violenze e i soprusi di Hamas o di altri attori antioccidentali, come se la causa ultima del male fosse sempre e solo degli Usa e dell’Occidente.

Sostenitori si trovano anche all’estremo opposto dello spettro politico, all’interno di quelle posizioni nazionaliste di (estrema) destra che hanno in Trump il loro leader maximo. Identificando nei principi di giustizia globali e sovranazionali un attacco alla sovranità popolare, chiedono ad esempio, in nome dell’interesse nazionale, neutralità assoluta di fronte ai crimini della Russia. Questo atteggiamento di equidistanza viene d’altra parte spesso abbandonato quando si tratta di difendere ad ogni costo Israele, non si sa se per motivi economici, di amicizia o piuttosto per un soggiacente razzismo coloniale nei confronti del mondo arabo e musulmano, come se la causa ultima del male venisse sempre e solo da Oriente.

Queste varie voci, intaccando la legittimità del diritto internazionale, forse non si rendono conto che così facendo non contribuiscono a un futuro di pace, giustizia e benessere per sé stessi e gli altri nel mondo, ma rischiano invece di ottenere l’effetto opposto.

Rimanendo in silenzio o giustificando guerre di invasione imperiali e annessioni coloniali, sia se provengono da Oriente come la Russia con l’Ucraina, o da Occidente come Israele con la Palestina, danno la possibilità a questi stessi governi criminali di continuare a farlo, o altri governi in futuro di provarci a loro volta.

“Make America Great Again!”, “Make Russia Great Again!”, “Make Israel Great Again!”, “Make China Great Again!”... Tramontata la forza della legge, conta solo ancora la potenza e la superiorità militare. Agli altri potrebbe rimanere solo la resa o la guerra di difesa, la distruzione o la guerra di resistenza.

E alla Svizzera nella guerra cosa chiediamo?

(laRegione, 2 maggio 2022)
Ogni tanto sfogliando dei quotidiani ticinesi e scorrendo talune prese di posizione sui social mi chiedo se ho in mano la Repubblica e sto navigando tra profili italiani. Poi mi rendo conto che sto leggendo opinioni di persone attive in Svizzera e mi sorge la domanda: ma chi dal Ticino chiede di inviare armi all’Ucraina e attacca i pacifisti perché troppo neutrali ed equidistanti di fronte al conflitto, a chi si sta rivolgendo, che dibattito vuole promuovere e quali obiettivi intende raggiungere?

In assenza di proposte politiche concrete, l’impressione è che la riflessione sia meramente virtuale e simbolica, sganciata dalla realtà. Sembra che si stiano portando avanti delle discussioni e delle polemiche altrui, come se non vivessimo in Svizzera ma in Italia, nell’Unione europea, in un Paese che aderisce alla Nato.

In certi commenti perché non si fa ad esempio riferimento e si sostiene la presa di posizione di Gerhard Pfister, presidente dell’Alleanza di Centro, che ha criticato la Segreteria di Stato dell’economia perché ha rifiutato la richiesta della Germania di inviare armi svizzere all’esercito ucraino in quanto non conforme alla nostra legislazione? Oppure perché non ci si aggancia alla presa di posizione di Thierry Burkart, presidente del Plr svizzero, che ha chiesto un maggior allineamento della Svizzera alla Nato?

Per lanciare un vero confronto politico chi desidera l’invio delle armi all’esercito ucraino potrebbe ad esempio proporre al Consiglio federale e al parlamento di modificare la legge che vieta alla Svizzera di esportare armi in Paesi in conflitto, esigere dalla politica l’avvicinamento o l’adesione della Svizzera alla Nato e chiedere che il nostro principio di neutralità venga probabilmente definitivamente messo in crisi perché ancora troppo equidistante tra le due parti in conflitto (posizione elvetica che nota bene pare essere alquanto vicina a quella di molti pacifisti italiani).

Altrimenti sembra che si stia chiedendo agli altri Paesi occidentali di sostenere e fare la "guerra per procura" al nostro posto, mentre a noi svizzeri, al di là delle sanzioni economiche, basterebbero delle parole "belle e giuste" senza volere e dovere mai passare ai fatti.

Così magari si potrà finalmente promuovere un dibattito democratico costruttivo su quali dovranno essere il ruolo e l’identità culturale e politica della Svizzera, e del suo esercito, nel nuovo ordine mondiale che si sta creando, coinvolgendo i nostri politici e la nostra popolazione: allinearsi definitivamente sulle posizioni atlantiche oppure mantenere ancora una certa neutralità ed equidistanza per provare a sostenere una mediazione tra le parti in conflitto e tra le varie superpotenze? O si preferisce non fare quasi nulla per salvaguardare unicamente i nostri interessi nazionali?

Si potrà così forse anche uscire da certi toni "moralistici" e "sentimentalistici" del dibattito sulla "guerra giusta" per far parlare finalmente anche il diritto e la legge: in quali casi e secondo quali criteri del diritto internazionale e nazionale la Svizzera potrebbe eventualmente inviare delle armi a Paesi in guerra? Quando, a chi e per quali guerre? Cosa significherebbe per il nostro diritto e per i nostri accordi internazionali l’eventuale avvicinamento e/o adesione alla Nato?

In questo dibattito non si tratterebbe più di solo criticare e attaccare simbolicamente chi non condivide la propria posizione, ma bisognerebbe provare anche, a partire alla nostra realtà storica, politica e culturale, ad argomentare il proprio punto di vista cercando di convincere gli avversari e la popolazione, perché in ultima istanza sarà come sempre la maggioranza del popolo a dover decidere chi siamo e cosa vogliamo diventare.


domenica 23 giugno 2024

Critica e difesa dell’Occidente

 (da laRegione del 21 giugno 2024) Leggi anche qui.

È ancora possibile oggi, nell’attuale contesto globale, salvaguardare quei principi fondanti l’Europa e l’Occidente quali la democrazia, i diritti umani e il diritto internazionale?

Chi mette in crisi questi principi all’interno delle nostre opinioni pubbliche sono da un lato gli “antioccidentali”, coloro che credono che la responsabilità del male sia sempre e comunque, in ultima istanza, dell’Occidente.

L’invasione russa dell’Ucraina? Colpa della NATO, degli USA e dell’imperialismo occidentale, come se non esistesse la volontà di espansione imperiale russa, come se il diritto internazionale non valesse per gli ucraini e bastasse dialogare ed assecondare Putin per ottenere la pace nell’Europa dell’est.

Gli attacchi terroristici di Hamas e la tragedia del popolo palestinese? Colpa esclusiva del sionismo e del colonialismo occidentale, come se non esistesse la violenza teocratica islamista e bastasse liberare la Palestina “dal fiume al mare”, lasciando governare Hamas, per ottenere giustizia in Medio Oriente.

In nome di principi quali democrazia, diritti umani e diritto internazionale bisognerebbe allora criticare e contrastare coloro che, in funzione antioccidentale, giungono ad accettare, per non dire giustificare, i crimini di Putin, di Hamas e di qualsiasi altra autocrazia illiberale ed antidemocratica che intende imporre con la forza la sua volontà di dominio nel mondo.

Dal lato opposto, però, chi mette in crisi questi principi sono anche i sostenitori a spada tratta della civiltà e della cultura occidentale, coloro che dimenticano e nascondono le violenze e i crimini di cui l’Occidente è stato ed è tuttora responsabile.

Come dimenticare che uno dei principali attacchi all’ordine internazionale sia stato sferrato dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, in particolare con la loro guerra di aggressione all’Iraq contraria al diritto internazionale, e con la loro giustificazione della tortura in carceri quali Guantanamo, in violazione dei diritti umani più basilari?

Come nascondere le responsabilità occidentali di fronte alla tragedia del popolo palestinese, dalla creazione dello Stato d’Israele come conseguenza dell’antisemitismo europeo, passando attraverso la decennale violazione da parte di Israele del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi, con la continua colonizzazione della Cisgiordania fino all’odierno massacro di Gaza?

In nome dei principi occidentali, bisognerebbe allora anche criticare e contrastare tutti i nostri doppi standard morali, politici e legali. La vita di un palestinese e di un non occidentale vale quanto la vita di un israeliano e di un occidentale. I crimini di guerra, le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani andrebbero condannati sempre e comunque, non solo se vengono commessi da chi non è parte dell’Occidente.

Altrimenti i nostri principi rischiano di essere solo parole ipocrite, vuote e senza valore, funzionali a celare interessi particolari e volontà di controllo e dominio occidentali del mondo. Se così fosse, perché altri Paesi del resto del mondo quali Russia, Iran, Cina, con i loro desideri imperiali e coloniali, sarebbero tenuti a rispettarli

Senza principi morali e legali sopra le parti che valgano per tutti, potrebbe aprirsi uno scenario di guerre senza fine. Le varie potenze del mondo, in assenza del dovere di risoluzione pacifica dei conflitti e del diritto all’autodeterminazione dei popoli, valendo solo la legge del più forte, sarebbero libere di aggredire, massacrare e assoggettare altri popoli a loro discrezione, siano questi popoli occidentali come gli ucraini o popoli non occidentali come i palestinesi.

Nessuno sarebbe escluso dalle conseguenze di questo scenario. Neanche coloro che, all’interno delle nostre società, non sono né “anti-occidentali” né “pro-occidentali”, perché reputano che, in fondo, tra Occidente e resto del mondo non vi sarebbe grande differenza. Sono i “neutrali” e gli “equidistanti”, per i quali “pace” significa “essere lasciati in pace”, amici di tutti e quindi di nessuno, perché ciò conta è solo il proprio benessere economico individuale e nazionale. Finché dura.

Democrazia, diritti umani e diritto internazionale sono probabilmente ciò che di meglio l’Occidente può offrire al resto del mondo. Potrebbero rappresentare un modello di pace, giustizia e protezione da proporre a tutte le persone e i popoli del mondo. Bisognerebbe però innanzitutto crederci noi stessi, smettere di imporli al resto del mondo con la forza e la violenza, tentando di applicarli noi in primis con coerenza. Altrimenti, quale sarebbe l’alternativa?





martedì 23 aprile 2024

Guerra in Ucraina, guerra in Palestina

 (da laRegione del 19 aprile 2024) Leggi anche qui.

Persone che denunciano i massacri nella striscia di Gaza, mentre rimangono in silenzio, per non dire giustificano, i crimini della Russia e di Hamas, come se la responsabilità ultima del male fosse sempre e comunque solo dell’Occidente. 

Altre che sostengono il diritto alla difesa dell’Ucraina e di Israele, mentre rimangono in silenzio, per non dire giustificano, i crimini di Israele, come se la vita di un non occidentale valesse di meno della vita di chi vive in una democrazia.

Ma come riuscire a pensare e trattare in maniera il più possibile giusta ed equa sia il conflitto russo-ucraino che quello israelo-palestinese, al di là delle ipocrisie e dei doppi standard morali, politici e legali coi quali ci troviamo confrontati?

L’Ucraina, a differenza della Palestina, è uno stato legittimo riconosciuto dalla comunità e dal diritto internazionale. La guerra di aggressione e invasione russa è del tutto ingiustificata, sia dal punto di vista morale che legale. L’Ucraina, a differenza di Hamas con Israele, non ha mai aggredito la Russia né minacciato il suo diritto di esistenza.

Ipotesi quali l’espansione della Nato e/o la guerra per procura americana come cause fondamentali del conflitto non sono solo difficilmente dimostrabili coi dati di fatto, ma negano il diritto all’autodeterminazione di un popolo e tendono in ultima istanza a giustificare l’imperialismo russo.

Il problema di fondo invece del conflitto israelo-palestinese, è che se da un lato Israele avrebbe il diritto di difendersi contro chi, come Hamas, attacca e minaccia il suo diritto di esistenza, dall’altro non ci potrà mai essere giustizia in Medio Oriente fino a quando ai palestinesi non sarà riconosciuto il diritto alla libertà, all’autonomia e all’autodeterminazione. 

Qualsiasi posizione che sostenga il diritto alla difesa armata di Israele, senza che contemporaneamente si esiga da Israele il riconoscimento dei diritti fondamentali dei palestinesi, dovrebbe essere giudicata come moralmente, legalmente e politicamente inaccettabile. 

D’altra parte, insostenibile è pure qualsiasi posizione che sostenga il diritto alla resistenza e all’autodeterminazione del popolo palestinese, senza che contemporaneamente si riconosca il diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza.

Il dramma è che oggi rischiamo di assistere, sia nel conflitto russo-ucraino che nel conflitto israelo-palestinese, non all’affermazione di principi minimi di giustizia, ma alla vittoria dei diritti del più forte.

Sia la Russia di Putin che Hamas che l’attuale governo israeliano negano ai loro popoli avversari il diritto all’autodeterminazione, con la differenza che Israele ha da sempre nei confronti dei palestinesi una superiorità bellica e militare, fattore che nell’attuale conflitto russo-ucraino è invece più incerto e instabile.

Sia la Russia che Israele stanno conducendo da tempo guerre di occupazione e annessione dei territori ucraini da un lato e dei territori palestinesi dall’altro. La Russia dal 2014 con la Crimea e il Donbass, e dal 2022 con il tentativo di invasione su grande scala dell’Ucraina. Israele con le sue varie guerre di espansione dal 1948 fino all’odierna distruzione di Gaza e la continua e progressiva occupazione della Cisgiordania.

Sia la Russia di Putin che Hamas che l’attuale governo israeliano usano la violenza per imporre le loro volontà al popolo avversario, massacrando la popolazione civile. La Russia con il suo tentativo di distruggere l’identità e la cultura ucraina, e quindi gli ucraini, Hamas con il suo progetto di eliminare Israele e gli ebrei, i governi israeliani con l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre e la distruzione e punizione collettiva di un popolo.

Entrambe le guerre rischiano di terminare, grazie alla vittoria delle ragioni della forza sulle ragioni del diritto e della giustizia, con l’ulteriore espansione e controllo territoriale dell’Ucraina da parte della Russia e della Palestina da parte di Israele. 

E visto che pare sempre più difficile che i due conflitti terminino con una “pace giusta”, si potrebbe perlomeno provare a non essere troppo ipocriti e di non usare doppi standard morali, politici e legali, denunciando i crimini di guerra di tutte le parti coinvolte, e ribadendo con forza e senza discriminazione i principi di libertà e autodeterminazione di tutti i popoli aggrediti e oppressi.