(estratti da “Rivista per le Medical Humanities”, gennaio-aprile 2014, http://www.rivista-rmh.ch/rivista.php )
Prologo: trasformazioni della cittadinanza
L’ipotesi è che la cittadinanza, intesa come possibilità di partecipazione e integrazione delle persone nella vita sociale, culturale e politica di una società in una determinata epoca storica, abbia subito negli ultimi decenni delle profonde trasformazioni[1].
La vittoria della “nuova ragione del mondo”[2], quella della globalizzazione tecno-capitalista, dell’egemonia del pensiero neoliberale oggi dominante, ha modificato gli assetti economici, culturali e politici che costruiscono le modalità dello “stare insieme” all’interno delle società contemporanee. Vengono così trasformati anche il senso e il significato della cittadinanza, di cosa una persona debba fare e chi debba essere per poter partecipare ed essere integrata nel “gioco sociale” preposto a costruire il nostro attuale “bene comune”. In parallelo, anche le svariate forme di “assenza di cittadinanza”, intesa come esclusione economica, sociale, politica e culturale, assumono una forma nuova, caratterizzata dall’impossibilità di avere accesso gioco, dal venire rifiutati e messi al bando secondo inedite modalità di marginalizzazione della devianza.
Uno degli assunti di base nell’analisi della “nuova ragione del mondo” tecno-capitalista è che la trasformazione in atto non è unicamente “economica”. Non assistiamo semplicemente al trionfo del libero mercato globale e del “laissez-faire” liberista contro lo stato moderno e la sua politica incapace di governarne il processo. La “nuova ragione del mondo”, per funzionare, ha messo in atto nuove tecniche di governo del mondo, della società e delle persone che lo abitano. La trasformazione è quindi anche “politica”, con nuove modalità di gestione e di amministrazione della “cosa pubblica” e del “bene comune”, ad esempio in vista della massimizzazione dell’”utile collettivo” pensato a partire dalla produzione individuale di ricchezza; “sociale”, con nuove modalità dello “stare insieme”, ad esempio la competizione e la concorrenza tra persone come modalità fondamentali della vita in comune e della nostra relazione con gli altri; “antropologica”, con nuove modalità di costruzione ed educazione delle soggettività, ad esempio l’essere liberi cittadini-consumatori, imprenditori di se stessi, condizione indispensabile per diventare qualcuno e poter essere felici.
La cittadinanza nell’epoca delle società della produzione
Prima dell’epoca odierna, della globalizzazione neoliberale tecno-capitalista, nella quale la cittadinanza è data dal “consumo” e dalla capacità (o incapacità) di essere imprenditori di se stessi, vi è stata l’epoca delle società della produzione, giunte al loro apogeo nel ventesimo secolo, caratterizzata dal sistema di produzione fordista e dal compromesso “socialdemocratico keynesiano”[3].
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I cittadini-consumatori, liberi imprenditori di se stessi.
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Contemporaneamente, la nuova “ragione del mondo” neoliberale si impone come nuovo modello economico, sociale, politico e morale di governo della società e dei suoi membri, modificando così anche il senso della cittadinanza e le modalità d’accesso al corpo sociale. Tramontate le ultime “ideologie totalitarie” del Novecento, la globalizzazione tecno-capitalista si propone come termine ultimo della Storia[4]. Una volta che tutto il mondo sarà connesso in un unico libero mercato, vi è la possibilità di concretizzare l’utopia di una società globale di liberi cittadini-consumatori, imprenditori e “manager” di se stessi[5].
Questa società permetterebbe ad ognuno la realizzazione dei propri unici e individuali desideri di felicità, trasformando ogni cosa (e ogni persona) in merce, in occasione di consumo e di godimento, nella continua ricerca del piacere nel qui e ora che la vita sarebbe diventata[6]. Ma anche per chi non volesse credere nell’utopia, la nuova “ragione del mondo” si impone, più “realisticamente”, come il miglior modo, l’unico, di gestione e di amministrazione delle società. Le alternative non possono che essere peggiori, reazionarie e totalitarie, in ogni caso lesive delle libertà dell’individuo e delle sue possibilità di “farsi una propria vita”.
Il libero mercato diventa così la condizione indispensabile per l’esercizio della propria libertà individuale, per l’espressione e la realizzazione dei propri desideri e di se stessi, di un’identità individuale che non si vuole più “imposta” come all’epoca delle società della produzione, ma che ognuno può “liberamente” costruirsi. Libera scelta del mestiere, della formazione, dell’identità sessuale, del partner, del ruolo famigliare, di come nascere e di come morire. Le scelte di vita, e con esse la propria identità da progettare e costruire, si possono e si debbono continuamente modificare quando non sono più occasioni di godimento, di “qualità di vita”, e quindi, pare, di felicità.
La cittadinanza pare così “emanciparsi” dalle imposizioni identitarie dell’epoca delle società della produzione, dal suo essere stata dovere di partecipazione all’ideale morale dello stato-nazione (dover essere bravi padri-lavoratori-cittadini dello stato), ideale per il quale si produceva, si lavorava e si era qualcuno. La “nuova cittadinanza” è data dalla partecipazione al nuovo ideale morale, il libero mercato, nel suo poter essere occasione di produzione di ricchezza, di utilità e felicità per tutti, o piuttosto per chi riesce a stare al passo coi tempi ed è in grado di giocare al nuovo gioco sociale[7]. La libertà è quella di poter scegliere cosa consumare e cosa diventare, la responsabilità quella di scegliere i prodotti e costruirci le identità che ci danno più piacere e felicità, il nuovo imperativo morale ci intima: “Consuma e godi!”. Non che la “produzione” scompaia dalla società, ma non è più il lavoro il fulcro che garantisce la partecipazione e l’integrazione sociale, ma il “potere d’acquisto” come possibilità di consumo, di godimento e di costruzione della propria vita. Nella finanziarizzazione dell’economia, ciò che ha valore è il capitale, non il lavoro[8]. “The Wolf of Wall Street”[9].
In questo nuovo processo di integrazione e di esclusione sociale, ogni “cittadino” deve diventare un manager, un imprenditore di se stesso all’interno delle molteplici possibilità di stili di vita e scelte identitarie che gli vengono offerte dal mercato, stili di vita che è costretto a scegliere, sempre che abbia abbastanza potere d’acquisto (=“potere di cittadinanza”)[10]. Il “bene comune” non è più lo stato e la sua democratica gestione della “cosa pubblica”, essendo il mercato, per il neoliberalismo, il nuovo “bene comune”. Al “centro del villaggio” non vi è più la Chiesa, come nelle società premoderne, ma neppure la Piazza del Municipio, vi è il Centro Commerciale. Si può non più credere in Dio, si può anche decidere di non più votare, ma non si può non consumare.
Non che i governi e gli stati scompaiano, ma cambiano le loro finalità: la loro ragion d’essere diventa quella di permettere, tramite una corretta regolamentazione politica e legale, al mercato di poter sviluppare la sua supposta virtù di produzione di benessere comune[11]. Così come non scompare la società[12], ma si modificano le modalità e le finalità dello stare insieme: gli altri diventando da un lato le persone con le quali entrare in relazione per poter godere di se stessi e potersi costruire la propria vita, dall’altro gli altri diventano i miei concorrenti, coloro con i quali entro in competizione per poter diventare qualcuno e, pare, poter essere sempre migliore[13]. La persona diventa così un cliente a cui posso offrire delle prestazioni, e capitale umano, relazionale e affettivo delle cui prestazioni io stesso posso usufruire. In questo “reality show” basato su competizione e concorrenza, solo i migliori dovrebbero vincere e il merito venire valorizzato. Si allunga però sempre di più anche la lista degli scartati, degli inadatti alla sopravvivenza che non sono stati abbastanza bravi a giocare.
La cittadinanza negata nelle società dei rifiuti
Chi non raggiunge gli scopi richiesti dalle regole sociali stabilite dalla nuova “ragione del mondo” rischia di venire riconosciuto (e di riconoscersi) come un perdente, uno scarto, un rifiuto della società[14]. Non sarebbe all’altezza della morale vigente e non è in grado di adeguarsi a un sistema che gli darebbe tutte le possibilità per diventare qualcuno. Oppure, non essendoci alternativa e non essendoci abbastanza spazio per tutti, chi non ce la fa non ha saputo giocare bene le sue carte. Alle persone sempre più ai margini della società, che rischiano di essere estromesse dal gioco sociale, non rimane che la lotta, la competizione per accaparrarsi i pochi beni di cui possono ancora usufruire (un lavoro, una casa, una prestazione sociale,…). La guerra tra poveri è un efficace e fondamentale modello di gestione delle popolazioni all’interno delle odierne società neoliberali.
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Epilogo: l’amministrazione dei “senza-cittadinanza”
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I problemi, le emergenze, le crisi da gestire non sono quelle del sistema neoliberale tecno-capitalista, strutturalmente incapace di concedere a ognuno la partecipazione al gioco sociale dei consumi, sistema che produce sempre più rifiuti materiali e sociali per rendere possibile il suo statu quo. I problemi da risolvere sono invece quelli di un sempre maggiore indebitamento dei singoli e degli stati, indebitamento che rischia di diminuire il potere d’acquisto=la possibilità di consumo=la possibilità di cittadinanza, tramite politiche d’austerità che non fanno che aumentare il numero degli scartati. I problemi ulteriori saranno allora quelli del controllo sociale e securitario (assistenza e polizia) per tenere sotto controllo i rifiuti[15].
Le emergenze da contrastare sono quelle del sempre maggiore afflusso di immigrati dalle discariche del mondo, sono quelle della piccola criminalità diffusa, dallo spaccio di quartiere al bullismo a scuola, perché la violenza non è quella del sistema che produce la devianza, ma sempre e solo del singolo che pone problemi... Assistiti, stranieri, invalidi,…, sono loro i colpevoli della mia incapacità di partecipare appieno alla nuovo forma di cittadinanza[16]. Loro, i “colpevoli individuali”, si possono socialmente e politicamente controllare, tenere a bada, reprimere; non invece i meccanismi e le responsabilità collettive che producono la devianza, anche se ne sono cosciente e me ne posso anche indignare[17].
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[1] Vengono qui ripresi e declinati a partire dal concetto
di cittadinanza, alcuni temi sviluppati dall’autore in Carcere. Note sulle società del controllo, in
“Ground Zero/Luoghi”, n. 1, Cascio, Lugano, 2009, Latte. Note sulle società dei consumi, in “Ground
Zero/Cibo”, n. 2, Cascio, Lugano, 2010, Intestino. Note sulle società identitarie, in “Ground
Zero/Persone”, n. 3, Cascio, Lugano, 2011, Assistito. Note sulle società dei rifiuti, in “Ground
Zero/Rifiuti”, n. 4, Cascio, Lugano, 2012, Ground Zero. Note su utopia e distopia, in “Ground
Zero/Frontiere”, n.5, Cascio, Lugano, 2013.
[2]Il riferimento è a P. Dardot, C. Laval, La nuova ragione del mondo. Critica della
razionalità neoliberista, DeriveApprodi, Roma, 2013. Gli autori,
riprendendo le riflessioni sulla “razionalità politica” del neoliberalismo
portate avanti da Michel Foucault, analizzano la nuova ragione del mondo della
globalizzazione tardocapitalista nei suoi aspetti economici, sociali e
politici. Nell’opera di Michel Foucault, si vedano in particolare Nascita della biopolitica. Corso al Collège
de France 1978-1979, Feltrinelli, Milano, 2005 e Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France
1977-1978, Feltrinelli, Milano, 2004.
[5] Sulle società del consumo, Z. Bauman, Consumo, dunque sono, Laterza,
Roma-Bari, 2010, Z. Bauman, Vita liquida,
Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 84-130, M. Franchi, Il senso del consumo, Bruno Mondadori, Milano, 2007.
[6] Sul godimento, P. Dardot e C. Laval, op. cit., pp. 445-449 e 463-465, S.
Zizek, Il godimento come fattore politico,
Raffaello Cortina, Milano, 2001.
[8] Sulla finanziarizzazione del capitale, L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in
crisi, Einaudi, Torino, 2013.
[9] Il riferimento è all’ultimo film di Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street, 2013, nel quale
il godimento dato dal consumo e dall’accumulazione del capitale viene portato
all’eccesso.
[12] Il riferimento è a una celebra frase di Margaret
Thatcher, “la società non esiste,
esistono solo gli individui”.
[14] Sulla stigmatizzazione della devianza, E. Goffman, Stigma. L’identità negata, Ombre Corte,
Verona, 2003.
[16] Sulle nuovo forme di insicurezza, A. Appadurai, Sicuri da morire. La violenza nell’epoca
della globalizzazione, Meltemi, Roma, 2005.
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