(da laRegione del 2 maggio 2015)
Perché non sono libero di farmi una canna quando, come e dove voglio? Fumare
uno spinello che male arreca agli altri e alla società? Se la mia libertà
finisce dove inizia la libertà degli altri, potrei anche convenire che non è il
caso di fumare in faccia a qualcuno che non desidera essere affumicato, così
come non è del tutto opportuno mettermi alla guida quando sono un po’ fatto.
Ma al di là dei rischi legati alla pubblica sicurezza e dei disturbi che
posso provocare a qualcun altro, perché lo stato deve vietare un gesto che a me
provoca piacere, e mi deve dire come dovrei vivere, imponendomi ciò che crede
una “vita buona e virtuosa”, vietandomi ciò che reputa invece una “vita cattiva
e viziosa”? Ma perché non potrei essere libero talvolta anche di farmi un tiro
di coca o di assaporare ad esempio i piaceri dell’oppio? Lo farei sporadicamente,
facendo attenzione a non diventarne dipendente, in ogni caso vorrei essere io a
prendermi le responsabilità per la mia vita.
Non tutto ciò che può (anche) far male alle persone viene sempre
vietato, così come non tutto ciò che può (anche) far del bene alle persone è
sempre permesso. Ad esempio, se io mangio giornalmente cibo spazzatura e pranzo
regolarmente nei fast-food, sicuramente a lungo andare il mio corpo ne
risentirà e non starò mica tanto bene, ma è questa una ragione sufficiente per
vietare i cibi malsani? Anche il gioco d’azzardo può fare molto male, ma
nonostante ciò le visite ai casinò, invece di venire vietate, vengono perlopiù
promosse, ad esempio tramite la pubblicità. D’altra parte, sono oramai noti e
scientificamente dimostrati gli effetti benefici della canapa, se consumata in
dosi moderate e con modalità adatte, e quindi perché non sono libero di farmi
ogni tanto una tisana alla marijuana contro la mia ansia, devo per forza mandar
giù una Temesta?
I fautori della sicurezza e della salute pubblica sosteranno che
probabilmente taluni, in caso di depenalizzazione, potrebbero fare anche un uso
moderato e consapevole di certe sostanze, ma molti, probabilmente troppi, non
sarebbero in grado di controllarsi, troppo alti sarebbero i rischi per la loro
salute e per le loro vite, e per la “salute pubblica” nel suo complesso. Non
tutti sono cittadini autonomi e responsabili, e per questo lo stato ci dice
cosa (non) fare. Ma allora perché la canapa, la cocaina e gli oppiacei no, e il
gioco d’azzardo, l’alcol e le sigarette sì?
Perché non vietare il
tabacco? Libertà individuale e benessere pubblico.
Sappiamo tutti che fumare troppe sigarette fa male, così come abusare
dell’alcol non fa sicuramente bene. Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio
federale della sanità pubblica, in Svizzera il tabacco è responsabile di circa 9000 decessi prematuri
l’anno e il suo consumo pesa sull'economia nazionale svizzera con costi pari a
circa 10 miliardi di franchi all'anno. L’alcol è invece responsabile di circa 1600
decessi all’anno e il suo consumo pesa sull'economia nazionale con costi pari a
circa 4,2 miliardi di franchi all'anno. I decessi per consumo di droghe pesanti
sarebbero invece solo poche centinaia all’anno. Ma allora
perché, per il rispetto della coerenza dei principi e comparando gli effetti
negativi delle varie sostanze, non si vieta del tutto anche il consumo di alcol
e sigarette? O non si depenalizzano le droghe illegali?
Possiamo immaginare che molti, anche non fumatori, si opporrebbero al
divieto assoluto di consumare tabacco. Riterrebbero questa norma lesiva della
libertà individuale di poter fare con se stessi ciò che ci pare e piace, un’eccessiva
intromissione dello stato negli affari privati dei suoi cittadini. Vada per il
divieto nei luoghi pubblici perché si fa del male agli altri, ma nel privato
non c’è la libertà talvolta anche di farsi del male?
Al di là del fatto che uno è (ancora) libero di diritto di potersi
fumare una sigaretta, non si può però negare che lo stato e la società le
provino tutte per farci passare la voglia del consumo. Il tabacco è sicuramente
uno dei vizi oggi più stigmatizzati dalla società: brutte scritte e foto oscene
sui pacchetti, divieto della pubblicità e costo elevato delle sigarette, fino
all’indignazione pubblica di fronte a qualcuno che nonostante tutto osa ancora
accendersi una sigaretta. La domanda allora, più psicologica che etica, sarà
perché qualcuno, nonostante tutto, riesca a continuare in coscienza a fumare.
Per contrastare il consumo di sigarette poco si potrebbe ancora fare, se
non tentare di vietarle del tutto. Questo divieto non potrebbe infatti essere
giustificato, in nome della salute e del benessere pubblici, e per via dei
costi umani, sociali ed economici di cui il tabacco è responsabile? Ma non si reputerebbe
appunto questa legge eccessivamente “liberticida”? Inoltre, se si volesse portare
il ragionamento utilitarista alle sue estreme conseguenze, invece di reprimere del
tutto il consumo di tabacco basterebbe fare in modo che le tasse statali
prelevate dal consumo di sigarette coprano i costi che questa droga causa alla
società nel suo complesso, come (perlomeno in parte) già avviene.
Nelle varie politiche volte alla promozione della salute e della
sicurezza vi è spesso, da un punto di vista etico, un conflitto tra opposti
principi: la libertà individuale da un lato e la sicurezza e il benessere
collettivo dall’altro. Fino a che punto siamo disposti a reprimere la libertà
individuale in nome della sicurezza e della salute pubblica, e fino a che punto
siamo disposti invece a tollerare la libertà individuale a scapito del
benessere sociale? All’interno di una società democratica questo conflitto non
può che essere mediato all’interno di un dibattito pubblico.
Si prenda l’esempio delle norme stradali: più diminuiamo la velocità
massima sulle nostre strade, più riusciamo a diminuire, come oramai è
dimostrato, i rischi di incidenti stradali. Ma saremmo veramente disposti in
nome della sicurezza pubblica a diminuire la velocità a 100 km/h sulle
autostrade o a 60 km/h sulle strade cantonali? D’altra parte, chi vuole
aumentare la velocità massima a 140 km/h sulle nostre autostrade dovrebbe
perlomeno assumersi la responsabilità delle conseguenze: l’aumento dei “danni
umani e sociali”, i costi della libertà individuale. L’obbligo delle cinture di
sicurezza, infine, è un ulteriore esempio di uno stato che non si preoccupa e
si prenda cura solo dei danni che possiamo fare agli altri, ma anche a noi
stessi, anche perché il male che arrechiamo a noi stessi ha poi sempre anche
delle conseguenze negative, dirette o indirette, per gli altri.
Perché non prendersela con
l’alcol? Droghe e culture.
Visti i costi in termini di vite umane, ma anche sociali e economici, causati
dall’alcol, perché il consumo di questa sostanza non viene maggiormente
stigmatizzato come avviene per il tabacco? Non sarebbe opportuno ad esempio
scrivere sulle bottiglie di vino e birra che l’alcol può far male, vietarne del
tutto la pubblicità e aumentare considerevolmente le tasse statali sugli
acquisti di prodotti alcolici? Non sarebbe pure auspicabile, come per le
sigarette, stigmatizzarne l’abuso, ad esempio di fronte a feste popolari dove
cittadini adulti e normali si concedono pubblicamente al vizio, rendendolo
socialmente accettabile?
Probabilmente la ragione sostanziale della forte tolleranza nei
confronti dell’alcol è che è parte integrante della nostra cultura, di usi radicati
nel tempo, costumi che non siamo disposti ad intaccare. La ragione non è il
piacere, quindi, che l’alcol può dare. Il piacere lo possono dare anche la
sigaretta, la canna o la coca. È il riconoscimento sociale che rende una determinata
droga un vizio pubblico ben tollerato e accettato, a scapito dei suoi costi
umani e sociali.
Ogni cultura accetta determinate droghe mentre ne ripudia altre. Certe
società se la prendono con l’alcol, altre invece approvano tranquillamente
l’uso di cocaina o di allucinogeni. La questione essenziale, quindi, non è
quella di giudicare positivamente o negativamente una determinata droga in se
stessa, per i suoi effetti benefici o malefici sul singolo individuo. Si tratta
invece di giustificare razionalmente le scelte pubbliche nei confronti delle
singole sostanze. Se i nostri principi fondamentali sono la libertà individuale
da un lato e il benessere e la sicurezza sociale dall’altro, è meglio proibire
o depenalizzare il consumo?
Conseguenze della
depenalizzazione
Ammesso e non concesso che non siamo disposti a proibire del tutto l’alcol e il tabacco, si pone infine la questione del perché le altre droghe debbano rimanere illegali. Se ragioniamo unicamente a partire dal principio della libertà e della responsabilità individuale, se rifiutiamo l’idea di uno “stato etico” che ci vuole imporre cosa (non) fare, e la nostra massima ultima rimane “la mia libertà finisce dove inizia la libertà degli altri”, allora diventa molto difficile giustificare razionalmente il divieto di tutte le droghe oggi illegali.
D’altra parte, saremmo veramente disposti da subito a depenalizzare
tutte le sostanze il cui uso oggi è reato? Cosa succederebbe se da domani
potessimo consumare liberamente canapa, cocaina e oppiacei vari? La prima
risposta razionale dovrebbe essere, al di là del timore irrazionale di questo
“salto nel vuoto”, che non lo sappiamo con certezza. Ma anche se non lo
sappiamo, non possiamo non provare a immaginare e calcolare le conseguenze
positive e negative, in termini di piacere e dispiacere, di benessere collettivo
e di sicurezza pubblica, i costi e i benefici umani, sociali ed economici della
depenalizzazione.
Per le droghe pesanti le conseguenze sono probabilmente più difficili da
calcolare. Per la canapa, invece, è più facile, perché è oramai diventata parte
integrante della nostra cultura e, nonostante il proibizionismo, il suo consumo
continua ad aumentare. Oramai sappiamo che anche la canapa può far male, il suo
utilizzo regolare che trasforma l’uso in abuso può ripercuotersi negativamente
sullo sviluppo psichico, fisico e sociale, in particolare nei giovani, ma non
solo. D’altra parte, anche gli “abusi legali” di certe sostanze e di certe
pratiche possono fare molto male. Inoltre, nei paesi dove è stata depenalizzata
non si è assistito ad un aumento del consumo.
Infine, la depenalizzazione permetterebbe: di controllarne maggiormente la qualità, l’uso e il consumo, di contrastare il business della criminalità organizzata, di allontanare i consumatori dagli spacciatori, di imporre una tassa statale sull’acquisto, di lanciare delle campagne di prevenzione dei problemi di salute legati all’abuso. Ciò che proibito rischia spesso di fare più male, proprio perché è illegale. Che un giorno anche sui pacchetti di marijuana ci sarà scritto che il suo consumo può far male?
Infine, la depenalizzazione permetterebbe: di controllarne maggiormente la qualità, l’uso e il consumo, di contrastare il business della criminalità organizzata, di allontanare i consumatori dagli spacciatori, di imporre una tassa statale sull’acquisto, di lanciare delle campagne di prevenzione dei problemi di salute legati all’abuso. Ciò che proibito rischia spesso di fare più male, proprio perché è illegale. Che un giorno anche sui pacchetti di marijuana ci sarà scritto che il suo consumo può far male?
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