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martedì 23 aprile 2024

Guerra in Ucraina, guerra in Palestina

 (da laRegione del 19 aprile 2024) Leggi anche qui.

Persone che denunciano i massacri nella striscia di Gaza, mentre rimangono in silenzio, per non dire giustificano, i crimini della Russia e di Hamas, come se la responsabilità ultima del male fosse sempre e comunque solo dell’Occidente. 

Altre che sostengono il diritto alla difesa dell’Ucraina e di Israele, mentre rimangono in silenzio, per non dire giustificano, i crimini di Israele, come se la vita di un non occidentale valesse di meno della vita di chi vive in una democrazia.

Ma come riuscire a pensare e trattare in maniera il più possibile giusta ed equa sia il conflitto russo-ucraino che quello israelo-palestinese, al di là delle ipocrisie e dei doppi standard morali, politici e legali coi quali ci troviamo confrontati?

L’Ucraina, a differenza della Palestina, è uno stato legittimo riconosciuto dalla comunità e dal diritto internazionale. La guerra di aggressione e invasione russa è del tutto ingiustificata, sia dal punto di vista morale che legale. L’Ucraina, a differenza di Hamas con Israele, non ha mai aggredito la Russia né minacciato il suo diritto di esistenza.

Ipotesi quali l’espansione della Nato e/o la guerra per procura americana come cause fondamentali del conflitto non sono solo difficilmente dimostrabili coi dati di fatto, ma negano il diritto all’autodeterminazione di un popolo e tendono in ultima istanza a giustificare l’imperialismo russo.

Il problema di fondo invece del conflitto israelo-palestinese, è che se da un lato Israele avrebbe il diritto di difendersi contro chi, come Hamas, attacca e minaccia il suo diritto di esistenza, dall’altro non ci potrà mai essere giustizia in Medio Oriente fino a quando ai palestinesi non sarà riconosciuto il diritto alla libertà, all’autonomia e all’autodeterminazione. 

Qualsiasi posizione che sostenga il diritto alla difesa armata di Israele, senza che contemporaneamente si esiga da Israele il riconoscimento dei diritti fondamentali dei palestinesi, dovrebbe essere giudicata come moralmente, legalmente e politicamente inaccettabile. 

D’altra parte, insostenibile è pure qualsiasi posizione che sostenga il diritto alla resistenza e all’autodeterminazione del popolo palestinese, senza che contemporaneamente si riconosca il diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza.

Il dramma è che oggi rischiamo di assistere, sia nel conflitto russo-ucraino che nel conflitto israelo-palestinese, non all’affermazione di principi minimi di giustizia, ma alla vittoria dei diritti del più forte.

Sia la Russia di Putin che Hamas che l’attuale governo israeliano negano ai loro popoli avversari il diritto all’autodeterminazione, con la differenza che Israele ha da sempre nei confronti dei palestinesi una superiorità bellica e militare, fattore che nell’attuale conflitto russo-ucraino è invece più incerto e instabile.

Sia la Russia che Israele stanno conducendo da tempo guerre di occupazione e annessione dei territori ucraini da un lato e dei territori palestinesi dall’altro. La Russia dal 2014 con la Crimea e il Donbass, e dal 2022 con il tentativo di invasione su grande scala dell’Ucraina. Israele con le sue varie guerre di espansione dal 1948 fino all’odierna distruzione di Gaza e la continua e progressiva occupazione della Cisgiordania.

Sia la Russia di Putin che Hamas che l’attuale governo israeliano usano la violenza per imporre le loro volontà al popolo avversario, massacrando la popolazione civile. La Russia con il suo tentativo di distruggere l’identità e la cultura ucraina, e quindi gli ucraini, Hamas con il suo progetto di eliminare Israele e gli ebrei, i governi israeliani con l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre e la distruzione e punizione collettiva di un popolo.

Entrambe le guerre rischiano di terminare, grazie alla vittoria delle ragioni della forza sulle ragioni del diritto e della giustizia, con l’ulteriore espansione e controllo territoriale dell’Ucraina da parte della Russia e della Palestina da parte di Israele. 

E visto che pare sempre più difficile che i due conflitti terminino con una “pace giusta”, si potrebbe perlomeno provare a non essere troppo ipocriti e di non usare doppi standard morali, politici e legali, denunciando i crimini di guerra di tutte le parti coinvolte, e ribadendo con forza e senza discriminazione i principi di libertà e autodeterminazione di tutti i popoli aggrediti e oppressi.

Diritti degli israeliani, diritti dei palestinesi

(da laRegione del 24 novembre 2023) Leggi anche qui.


Due popoli, Israele e Palestina, entrambi con il diritto di esistere
e di autodeterminarsi, di vivere in pace e sicurezza tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo.

Altrimenti, quale sarebbe l’alternativa? 

L’unica altra via d’uscita rischia di essere la guerra, la violenza e l’odio a oltranza, la distruzione, lo sradicamento e l’espulsione del popolo avversario, in nome del principio che tra il fiume e il mare non debba che esistere un popolo, o quello israeliano, o quello palestinese. 

Il dramma è che molti palestinesi e molti israeliani paiano condividere un reciproco fondamentalismo, opposto ma speculare, un estremismo nazionalista e/o religioso che crede che il proprio popolo avrebbe un diritto naturale ed esclusivo di esistere su quella terra. 

Da un lato il fondamentalismo di Hamas e del radicalismo islamico, che ai tempi fu anche del nazionalismo arabo-palestinese, fondato sull’idea che solo quando gli ebrei se ne saranno andati ci potrà essere libertà, giustizia e autodeterminazione per la Palestina. 

Dall’altro lato, il fondamentalismo religioso e di un certo nazionalismo ebraico, fondato sull’idea che solo quando gli arabi se ne saranno andati del tutto Israele potrà vivere finalmente in pace e sicurezza. E ai palestinesi che rimangono non si può che offrire una vita sotto assedio e occupazione, in quelle carceri a cielo aperto che sono la Cisgiordania e rischia di tornare a essere Gaza.

Agli opposti fondamentalismi, che vogliono imporre la loro supposta verità con la guerra e la violenza, si potrebbe rispondere con un atteggiamento laico, razionale e illuminista: i popoli e le nazioni sono delle costruzioni sociali, politiche e culturali, e non vi è alcun diritto originario, esclusivo, naturale per una comunità di risiedere su un determinato territorio. 

Ciò non significa negare i diritti storici e umani dei popoli e degli individui: il diritto di ogni persona di poter avere delle radici e una propria terra, dov’è nata e/o dalla quale proviene la sua famiglia, dove può esistere e svilupparsi la sua comunità politica e sociale di appartenenza.

All’interno del conflitto israelo-palestinese, questo presupporrebbe un reciproco riconoscimento, fondato su un principio di uguaglianza e sul rispetto dei diritti di ambo le parti, riconoscimento volto a contrastare, limitare e criticare qualsiasi doppio standard politico e morale. 

Altrimenti rischia di esservi solo ipocrisia, perché dietro a dei supposti e conclamati diritti universali non si nasconderebbero che dei diritti e interessi particolari, da imporre a scapito dei diritti e degli interessi dei propri avversari.

La vita di un palestinese non vale né di più né di meno della vita di un israeliano. Bisognerebbe contrastare l’antisemitismo e l’odio contro gli ebrei quanto il razzismo e l’odio contro gli arabi e i musulmani. Il diritto alla libertà, all’autonomia, alla sicurezza di un israeliano vale quanto il diritto alla libertà, all’autonomia, alla sicurezza di un palestinese. In nome del diritto dell’esistenza di un popolo, non si può sacrificare il diritto alla vita e all’esistenza di un altro popolo. 

Si dia spazio, allora, nell’opinione pubblica, alle voci, alle storie e alle tragedie sia degli israeliani che dei palestinesi. Si condannino con la giusta misura i crimini di ambo le parti. Si dica a Israele che ha il diritto di vivere in pace e sicurezza, chiedendo ai palestinesi di riconoscere il suo diritto di esistenza.

Contemporaneamente, si chieda a Israele di riconoscere il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese, di bloccare il massacro a Gaza e di pensare a un piano per tornare ai confini territoriali del 1967, iniziando a smantellare gli insediamenti coloniali illegali in Cisgiordania.

Altrimenti, continueremo a essere degli spettatori che, dagli spalti di un’arena, si indignano perlopiù per le sofferenze e le morti del proprio popolo amico, mentre giustificano, nascondono o minimizzano le sofferenze e le morti dei propri nemici, in uno spettacolo di orrore senza fine nel quale le vite degli altri non sono che delle vittime sacrificali del proprio accecamento ideologico. Mors tua, vita mea.

“L’amore per la patria tra nazionalismo e diritti universali”

Cinque digressioni radiofoniche attorno al tema
“L’amore per la patria tra nazionalismo e diritti universali”,
andate in onda a luglio 2023 sulla Rete Due della RSI,
all'interno del ciclo "L'amore e altre deviazioni..."



“Noi umani non tendiamo forse a solidarizzare innanzitutto con chi percepiamo essere più vicino e simile a noi?
Non proviamo forse più empatia per i nostri simili, famigliari, amici, connazionali,
per coloro che fanno parte di un’identità collettiva al quale anche noi sentiamo e crediamo di appartenere?"



“Per il nazionalismo
i popoli avrebbero il diritto naturale di esistere e vivere su un determinato territorio, come se la nostra madre Patria ci avesse fatto nascere, non per caso,
su un territorio che naturalmente e necessariamente ci appartiene, madre Patria alla quale possiamo tributare il nostro amore."




“Forse come europei ce n’eravamo dimenticati,
ma è anche nel nome dell’amore per la propria nazione che ci si è sacrificati andando a combattere o mandando a combattere i nostri figli, contro i tedeschi e i francesi, in nome del popolo tedesco e francese."




“È giusto che i diritti vengano attribuiti innanzitutto, per non dire esclusivamente, a coloro che appartengono alla nostra nazione?
I diritti umani fondamentali non dovrebbero essere concessi ad ogni individuo?"



“Su cosa si fonda l’identità nazionale svizzera, il nostro comune senso di appartenenza, l’amore per la nostra Patria?
La Svizzera vive all’interno di una contraddizione, tra i suoi principi costituzionali descritti come universali e il suo credersi un Sonderfall, una nazione diversa da tutte le altre."