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sabato 9 gennaio 2016

Strategie del Terrore



(da laRegione dell'8 gennaio 2016) 





1. Incitare alla guerra

Nel documento programmatico “La gestione del caos”, scritto da Abu Bakr Naji, uno degli ideologi e degli intellettuali dell’ISIS, gli attacchi terroristici nel mondo occidentale sono (anche) pensati come un metodo per incitare i paesi occidentali a fare la guerra allo Stato Islamico.

Se decidono unicamente di intensificare i bombardamenti aerei, questo ha come conseguenza inevitabile un aumento sul terreno delle vittime civili. I cineasti dell’ISIS sono allora pronti a filmare i bambini che muoiono sotto le bombe occidentali, videoclip che, abilmente montati, saranno messi in rete per intensificare il risentimento nei confronti degli “usurpatori delle loro terre”.

Lo scopo ultimo, però, è quello di costringere i paesi occidentali a inviare delle truppe sul terreno, in modo da convincere la popolazione del Medio Oriente che ci troviamo all’interno di una guerra di civiltà, che gli occidentali non sono che dei “crociati”, degli “invasori”, degli “colonizzatori” a cui non si può che opporre una “resistenza armata di liberazione”.

Risposte a questa strategia, ad oggi: nessuna, se non l’aumento dei bombardamenti come mera prova di potenza che, in assenza di un obiettivo globale di ricostruzione del Medio Oriente, rischia di fomentare ancora di più l’odio nei confronti dell’Occidente.


2. Far costruire muri contro i rifugiati

In un comunicato emanato qualche giorno fa, l’ISIS informa che più di 4000 dei loro combattenti stanno arrivando in Europa mascherandosi da profughi.

Questa notizia è falsa. Praticamente la totalità delle persone che arrivano lo fanno per fuggire dalla guerra, dalla persecuzione dello Stato Islamico e della dittatura siriana. I nuovi adepti dell’ideologia islamo-fascista vengono infatti reclutati tra i giovani nati e cresciuti in Europa.

Ma la notizia serve a incutere paura e a provocare la costruzione di nuovi muri fisici, mentali, politici e sociali contro i profughi, innalzando così la conflittualità sociale e il risentimento nei confronti del vecchio continente.

L’Europa rischia così di mostrare il suo vero volto, come auspicato dall’ISIS: i tanto declamati diritti dell’uomo e i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà non sono che il privilegio di pochi, un’ideologia universale utile a mascherare etnocentrismo e neocolonialismo. Sarà molto più facile, allora, che i dannati della terra si rivolgano ad altre ideologie che promettono loro la liberazione su questa terra, e ancora di più in cielo.


3. Il conflitto sociale

Sempre nel documento programmatico “La gestione del caos”, gli attacchi terroristici nel mondo occidentale sono (anche) pensati come una strategia per frammentare e spezzare l’ordine sociale di un paese.

Il terrorismo, infatti, intensifica l’islamofobia, emarginando e discriminando ulteriormente i giovani musulmani che vivono in Europa o negli USA. Questo processo aumenta il terreno fertile per la propaganda dello Stato Islamico in vista del reclutamento di nuovi adepti.

Risposte a questa strategia, ad oggi: nessuna controstrategia che tenti di risolvere il problema dell’emarginazione sociale delle banlieue, ma unicamente la sospensione dello stato di diritto e la creazione di uno stato di polizia che reprime ulteriormente la devianza, fomentando ancora di più il conflitto sociale.


4. La guerra di civiltà

Al momento non ci troviamo (ancora?) all’interno di un conflitto di civiltà tra Islam e Cristianesimo, tra Oriente e Occidente, tra islamo-fascismo e liberal-democrazia.

La guerra in Medio Oriente è infatti innanzitutto, da un punto di vista culturale e religioso, una guerra interna al mondo musulmano, tra differenti interpretazioni dell’Islam, oltre che essere uno scontro tra volontà di potenza e molteplici interessi politici, economici e sociali.

Neppure il terrorismo in Europa è allo stato attuale un conflitto di civiltà: la cultura e il credo religioso della stragrande maggioranza dei musulmani europei non hanno nulla da spartire con il jihadismo fondamentalista.

Il Terrore aspira a trasformare questi diversi conflitti sociali, politici, economici e culturali in una guerra di civiltà, in una scelta, per i giovani musulmani in Medio Oriente e in Europa, tra “Noi” e “Loro”: o l’Islam o l’Occidente, o il “Regno di Dio” o la “Democrazia”.

Le parole e i simboli contano: più la società inizia a credere in queste visioni del mondo, più queste diventeranno delle rappresentazioni politiche e sociali che strutturano il nostro modo di pensare e percepire il mondo, trasformando la realtà. E così il conflitto rischia di diventare esclusivo: o di qua o di là, o con noi o con loro, e a ciascuno la sua scelta per chi valga la pena di imbracciare le armi.


5. L’ideologia dell’assoluto

Come sostengono molti scienziati sociali (tra i quali Olivier Roy e Jean-Loupe Amselle), vi sono due tipologie di giovani che aderiscono alla Jihad del terrore.

I primi sono i giovani che sono stati messi al bando dalla società, che all’interno dei loro ghetti vivono in una realtà parallela segnata dalla criminalità, dall’appartenenza a bande giovanili e dalla violenza diffusa. Stigmatizzati in quanto feccia, in assenza di futuro e di un possibile reintegro che dia loro un riconoscimento e un ruolo all’interno della società, diventano il primo terreno fertile per il reclutamento dei jihadisti.

I secondi sono i giovani delle classi medie, socializzati in questo caso non alla devianza ma alla normalità, di una normalità che vivono e percepiscono come sprovvista di valori forti, incapace di dare un senso ultimo e quindi un orientamento profondo alle loro esistenze. Il nichilismo contemporaneo come secondo terreno fertile per il reclutamento.

In un Occidente nel quale non vi è più speranza nella Salvezza e nell’Eternità, e nel quale è scomparsa la fede nelle grandi narrazioni che promettevano la liberazione al termine della Storia, nelle nostre società senza futuro né possibilità di riscatto sociale, la conversione all’Islamo-Fascismo rischia di essere l’unica possibilità di una rottura e una rivolta radicale, un’ideologia globale e antisistema in grado di ridare un nome e un senso all’assoluto.