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lunedì 22 dicembre 2014

Appunti morali VIII.: Natale multiculturale



(da laRegione del 20 dicembre 2014)


Come vivere e festeggiare il Natale in una società sempre più multiculturale? 

Indipendentemente da come uno sceglie di celebrarlo nella spazio intimo e privato di casa propria, dove ognuno è libero di fare ciò che vuole, la questione si pone all’interno dei nostri “spazi pubblici”: scuole, piazze e altri “edifici statali”. Per questi spazi si solleva infatti il problema del senso e del valore che una società vuole dare ai simboli della sua cultura. Vale anche per il Natale, ammesso e non concesso che sia un simbolo importante per la nostra società, e non unicamente una “questione privata”.

Perché il Natale rimane la festa più “celebrata” dalla nostra società, più del 1. Agosto, del Carnevale e della Pasqua? Per le nostre “radici cristiane” o per “Babbo Natale”? O non si mischiano e si integrano, forse, all’interno del “Simbolo del Natale”, molteplici influenze, significati e valori storico-culturali propri della nostra cultura, quali la “Natività”, la “Famiglia” e, non da ultimo, il “Consumismo”? A quali di questi “valori” dare quindi la priorità? E come festeggiarlo, di conseguenza, nei nostri “spazi pubblici”, all’interno dei quali si incontrano e convivono sempre più persone di altre religioni e di altre culture, ma anche, occorre dirlo, persone laiche, magari pure atee, per le quali la “Natività” ha un valore sempre più relativo?


“Costruire o non costruire il presepe all’asilo?”

Riflettiamo a partire dal seguente caso pratico: “in una scuola dell’infanzia comunale ticinese convivono bambine e bambini di varie culture e religioni: cristiani cattolici, cristiani protestanti, cristiani ortodossi, ebrei, musulmani sunniti e musulmani sciiti. Ci sono però anche molti bambini di famiglie non credenti, taluni neppure battezzati.

Che fare? Ha senso ed è il caso di costruire un presepe insieme ai bambini per celebrare la Natività? È opportuno nei confronti dei bambini delle altre religioni, per le quali Gesù è semmai un “profeta”, per non dire un “falso messia”, ma sicuramente non il “figlio di Dio”? Ma non sarebbe il caso, a questo punto, per parità di trattamento, di dare spazio anche alla celebrazione di riti musulmani ed ebraici? E nei confronti dei bambini non credenti, infine, è proprio opportuno che una scuola pubblica e laica trasmetta dei simboli e dei valori religiosi? Non sarebbe il caso di parlare solo di “Babbo Natale”?”.

Anche il “Natale” solleva la questione della “integrazione”, e ogni volta che discutiamo di “integrazione degli stranieri” nella nostra società, si pone innanzitutto una domanda: quali sono i valori che dovrebbero stare a fondamento della nostra società, che sia gli immigrati che gli “autoctoni” dovrebbero fare propri e rispetto ai quali dovrebbero “integrarsi”? Sono i valori della nostra tradizione “giudaico-cristiana”? Oppure sono i valori dell’altra fondamentale tradizione della nostra cultura, cioè quelli dell’Illuminismo, della laicità, della libertà di espressione e di religione, e dell’uguaglianza-parità di trattamento per tutti i cittadini?

È giusto difendere i simboli e i valori della nostra “cultura cristiana”, quando la maggioranza della popolazione autoctona risulta sempre più “laica”, per non dire “atea”, cristiana più di nome che non di fatto? Visto che le chiese sono sempre più vuote, mentre le “nuove cattedrali della cultura contemporanea”, i “Centri commerciali”, sono sempre più piene, non sarebbe il caso di espellere i simboli religiosi dagli spazi pubblici, e accontentarci del Babbo Natale promosso dalla tradizione imperante, quella dei valori del “Consumo” e dei simboli quali la “Coca Cola”?
In ogni caso, di fronte al problema se costruire o meno il presepe all’asilo, possono esserci tre posizioni che tendono ad escludersi a vicenda.


Posizione 1: “Costruiamo solo il presepe, in quanto simbolo unico della nostra cultura”.

Per questa prima posizione, decidiamo di costruire il presepe all’asilo perché crediamo sia un simbolo essenziale per la nostra cultura. Reputiamo opportuno che la nostra società trasmetta quei valori religiosi che vogliamo stiano a fondamento della nostra storia e del nostro stare insieme. I bambini e le famiglie di altre religioni dovranno adeguarsi, essendo venuti a vivere in una società di tradizione cristiana. I loro riti, le loro usanze e i loro simboli culturali-religiosi possono continuare a viverli, se proprio desiderano, a casa loro, nel privato. Negli spazi pubblici decidiamo invece di celebrare le “radici cristiane della Svizzera (e dell’Europa)”.

Rispetto a questa prima posizione si pone però il problema della laicità dello stato: non è la nostra scuola una scuola laica, quale ad esempio quella ticinese di ascendenza “liberal-radicale,” che non dovrebbe trasmettere simboli e valori religiosi? Per coerenza, se costruiamo il presepe non sarebbe a questo punto anche il caso di reintrodurre i crocifissi nelle aule scolastiche? Ma se io sono un laico convinto, agnostico per non dire ateo, non ho il diritto di rivendicare che ai miei figli, da parte della scuola pubblica, non venga impartita alcuna educazione religiosa contro la mia volontà, ma venga piuttosto rispettata e promossa la libertà di culto e di pensiero?


Posizione 2: “Essendo lo stato laico, non costruiamo alcun presepe”.

Per questa seconda posizione, la scuola e lo stato devono rimanere laici e non trasmettere valori né simboli religiosi. La libertà di culto è garantita nel privato, dove ognuno può credere in ciò che gli pare e piace, mentre all’interno degli spazi pubblici deve valere innanzitutto il principio della neutralità dello stato di fronte alle questioni religiose. Non costruiremo quindi presepi né appenderemo crocifissi, e per parità di trattamento non daremo ovviamente neppure spazio ad altre espressioni culturali-religiose.

Per questa seconda posizione si pone però il problema se far comunque “entrare il Natale” nei nostri spazi pubblici, e se sì, come. Potremmo infatti decidere di “svuotare” completamente i nostri asili e le nostre scuole di qualsiasi simbolo che rimandi al Natale, dal Presepe passando per l’Albero, Babbo Natale incluso. Ma non sarebbe questo un eccessivo impoverimento, uno spogliare i nostri spazi pubblici dei simboli di un evento che in ogni caso è importante per la società? E non ha la scuola anche il compito, al suo interno, pur rimanendo neutrale e laica, di dare spazio, far incontrare e di mediare le varie espressioni culturali che provengono dalla società?

L’altra opzione per i sostenitori di questa seconda opzione potrebbe essere quella di dare spazio solo ai “simboli laici” del Natale, “svuotando” quindi l’evento “solo” dei suoi “simboli religiosi”. Non sarebbe infatti “Babbo Natale” un simbolo che può accomunare tutti, indipendentemente dal proprio “credo privato”? Ma la laicità e la neutralità dello stato e della scuola devono essere tali solo di fronte ai simboli religiosi? Non dovrebbe esserlo anche di fronte ad altre “ideologie” ed altre “religioni senza Dio”, quali il “Consumismo”? Nella cultura imperante dell’ “Homo Oeconomicus” siamo tutti uguali, cristiani, musulmani, ebrei, agnostici e atei. Siamo tutti consumatori di fronte al Simbolo contemporaneo per antonomasia che è la “Merce”, la cui celebrazione tocca anch’essa il suo apice nel “Rito del Consumo” che il Natale è diventato. Siamo veramente disposti come società a lasciar spazio solo a questa forma di “religiosità”, perlopiù dominante all’interno della nostra cultura? O nel “Natale” vi è dell’altro?


Posizione 3: “Costruiamo il presepe, e diamo spazio ad altri simboli culturali-religiosi”.

Rimane una terza posizione: quella di uno stato che si vuole sì “aconfessionale”, che però lascia spazio al suo interno, nei suoi luoghi pubblici, ai vari simboli culturali e religiosi presenti nella società. Lo stato può diventare così, proprio in quanto laico, neutrale e, non da ultimo, “democratico”, quel luogo di incontro, dialogo e confronto delle molteplici “forme di vita e di espressione” dei suoi cittadini.

Ci si può così confrontare con i molteplici simboli che il “Natale” rappresenta costruendo, volendo, anche un presepe. Questo non perché la scuola debba essere espressione delle “radici giudaico-cristiane” della nostra cultura, ma perché dà spazio, al suo interno, a ciò che può aver valore per una parte dei suoi membri. Il presepe potrebbe così diventare anche un’occasione di dialogo e di scambio con chi non ne condivide i simboli e i valori.

D’altra parte, in nome della parità di trattamento e della possibilità di espressione di tutti i “cittadini”, si potrà discutere e comprendere che non per tutti i cristiani il Natale cade il 25 dicembre. Ma non solo: si potrà anche dare spazio all’ascolto e alla narrazione di quegli “altri eventi” appartenenti alle altre tradizioni culturali e/o religiose presenti in classe, quali ad esempio il “Ramadan” o la “Pasqua ebraica”, a partire dal presupposto laico e liberale che per taluni Gesù non è il figlio di Dio, così come per altri Dio neppure esiste.

Lo spazio pubblico non sarà così “svuotato” e “spogliato” dei simboli e dei valori che vivono e agiscono all’interno della società, ma non sarà neppure il “luogo” dell’imposizione alle minoranze, e ai singoli cittadini tout court, di determinati simboli e valori reputati dominanti da parte di chi detiene il potere. Lo spazio pubblico potrà invece diventare un vero e proprio “spazio di mediazione interculturale”, occasione di incontro, scambio e confronto, ma anche di stimolo alla “riflessione critica”, in nome della “cittadinanza attiva” dei suoi membri.


P.S.: La terza posizione è ovviamente in contrasto con quanto avviene ad esempio nelle scuole pubbliche francesi, dove non vi è solo il divieto per le scuole di appendere crocifissi o costruire presepi, ma vi è pure l’obbligo per gli alunni di “levare dai propri corpi”, quando entrano in classe, qualsiasi “simbolo religioso” (una vera e propria estremizzazione della seconda posizione).

Ricordiamo inoltre pure il recente caso di un’allieva di St. Margrethen (SG), alla quale la scuola aveva imposto di levare l’hijab (il “velo islamico”) in classe. L’allieva, in seguito ad un ricorso presentato dalla sua famiglia al Tribunale amministrativo cantonale, in nome della libertà di credo e di coscienza può di nuovo indossare il suo hijab.

In uno stato laico e repubblicano, che non vuole confrontarsi con la differenza culturale e religiosa, gli spazi pubblici rischiano di venire “spogliati” della molteplicità dei simboli e dei valori che vivono all’interno della società, facendo così agire solo la “cultura dominante”, con i suoi simboli quali “Nike” e “Abercrombie” bene in vista, e i suoi relativi “valori”. 

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