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martedì 25 novembre 2014

La doppia presenza. Per una valorizzazione delle culture d'origine dei migranti.



(discorso tenuto in occasione della "Festa per la giustizia sociale e contro la xenofobia" del 29 marzo 2014 a Lugano)

La filosofa Hannah Arendt sosteneva che l’essere umano nasce e “viene al mondo” due volte. La prima nascita è quella del “venire partoriti” come esseri meramente naturali. 
Potremmo chiamarlo “parto fisico”. La seconda nascita è invece quella del “venire accolti” come esseri viventi in un mondo linguistico-culturale. Questo mondo è formato dalle parole, dai gesti e dai significati con i quali nostra madre, o chi ne fa le veci, entra in relazione con noi, trasformandoci da esseri unicamente “biologici” e “istintivi” in esseri propriamente umani. Potremmo chiamarlo “parto culturale”. Questa “seconda nascita” è la nostra “prima entrata in società”.

I figli degli immigrati devono però affrontare una “terza nascita”: il “venire accolti” come stranieri in un ulteriore mondo linguistico-culturale, che non è quello dove sono stati accolti la prima volta dalla voce della loro madre e del loro padre. Potremmo chiamarlo “parto interculturale”. Avviene essenzialmente quando i bambini immigrati vengono inseriti per la prima volta nel nostro sistema educativo. Durante questa “seconda entrata in società” il bambino si rende conto che le parole, i gesti, i significati con i quali è diventato per la prima volta “umano” non sono le parole, i gesti, i significati della cultura dominante dove è destinato a vivere. Si accorge di essere diverso e che la sua lingua d’origine è subalterna e marginale.

Di fronte a questa “terza nascita” e “seconda entrata in società”, sia per la famiglia immigrata che per la società vi sono solo due opzioni, che si escludono a vicenda. Possiamo valorizzare sia la lingua e la cultura di provenienza del bambino che la lingua e la cultura della società di accoglienza. Oppure possiamo valorizzare unicamente lingua e cultura della società di accoglienza. È principalmente tramite questa seconda opzione che avviene oggi l’inserimento degli allievi alloglotti nelle nostre scuole, con tutti i rischi che ciò comporta, per l’allievo immigrato, per la sua famiglia ma anche per la nostra società nel suo complesso.

È infatti oramai dimostrato dalla letteratura scientifica di riferimento che, se vogliamo garantire uno sviluppo psicosociale adeguato della personalità ai bambini di seconda generazione, sarebbe auspicabile, per non dire necessario, valorizzare anche la lingua e la cultura del paese d’origine, e non solo quelle del paese d’accoglienza. Solo così il bambino potrà sviluppare un’identità interculturale complessa, e solo così potremo promuovere come società un’autentica integrazione che non sia una mera assimilazione alla cultura dominante.

Il bambino di seconda generazione è in prima istanza, sempre e comunque, uno straniero, essendo lui figlio di una lingua altra, di una provenienza culturale che struttura inevitabilmente la sua identità. Valorizzando questa provenienza, potrà rendersi conto della ricchezza e della complessità della cultura nella quale è venuto al mondo, che non è meno ricca né meno complessa della cultura della società di accoglienza, ma è solo differente. Solo così il fatto di provenire da una cultura subalterna non sarà vissuto come inadeguatezza e come vergogna, e solo così il suo essere diverso sarà vissuto come risorsa, e non unicamente come problema e come causa di marginalizzazione sociale. Anche perché quei bambini che faranno di tutto per nascondere la loro origine e diventare “più svizzeri degli svizzeri”, rischiano comunque di continuare a venire riconosciuti e trattati come stranieri.

Integrare non significa assimilare gli immigrati ai nostri usi e costumi. Significa valorizzare sia la nostra lingua e cultura sia le lingue e le culture dei loro paesi di provenienza, e costruire insieme una cultura comune più complessa, cogliendo nelle lingue e culture altre non un ostacolo all’integrazione, ma un’occasione di crescita e di ricchezza per tutti. Ed è solo così che i bambini di seconda generazione potranno trasformare la loro “doppia assenza”, il fatto di non sentirsi a casa né nel paese d’origine dei loro genitori né nel paese d’accoglienza, in una “doppia presenza”, in un poter essere sia svizzeri che portoghesi, serbi, turchi, … Non vi è altra scelta se si vuole promuovere uno sviluppo della nostra società che garantisca l’ordine, la pace e il benessere sociale di tutti i suoi membri, autoctoni compresi.







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