(da Confronti, novembre 2016)
Vi sono due processi in atto quando la rappresentazione sociale dominante
collega violenza e migrazione: la “culturalizzazione dei problemi sociali” e la
“logica del capro espiatorio”.
Questi due processi falsificano la realtà, fomentando
pregiudizi e discriminazioni nei confronti degli stranieri, e non permettono di
trovare delle soluzioni praticabili a problemi sociali quali la violenza e la
criminalità diffuse all’interno della nostra società.
Facciamo un esempio: se un maschio di origine svizzera dovesse
picchiare la moglie, tenderemo a spiegare questo problema secondo cause
psicologiche e sociali (eventuali problemi di violenza subita durante lo
sviluppo, emarginazione sociale, abuso di sostanze, problemi psicologici
specifici, ecc.). Se invece un maschio arabo di religione musulmana dovesse
picchiare la moglie, ecco che all’interno della nostra rappresentazione sociale
spiegheremo questo fenomeno quasi esclusivamente secondo cause culturali e
religiose: lo fa perché è nella sua cultura. La “culturalizzazione dei problemi
sociali” nasconde così le possibili cause psico-sociali della violenza, non
permettendo così di analizzare (e risolvere) il problema nella sua complessità.
Questo non significa beninteso che la cultura non possa avere un peso, dovrebbe
però emergere solo come una delle possibili cause del problema.
Nella narrazione sociale dominante riguardante il nesso tra violenza
e migrazione vi è inoltre la tendenza di dare più spazio, sui mass-media e
all’interno del senso comune, alla violenza e alla criminalità di chi è “venuto
da fuori”, occultando la violenza e la criminalità “interne alla nostra
comunità”, creando una percezione distorta della realtà. Ad esempio, secondo i
dati ufficiali riguardanti la violenza domestica in Svizzera, nel 2014 sono
avvenuti all’interno di nuclei famigliari 23 omicidi (il 63.9% del totale di
tutti gli omicidi in Svizzera), 39 tentativi di omicidio, 72 casi di lesioni
corporali gravi, 1879 casi di lesioni corporali semplici, e questo principalmente
all’interno delle “nostre famiglie”.
Si mostra qui il secondo processo in atto, la “logica del capro
espiatorio”. Questa logica tende a nascondere la violenza interna alla nostra
società, costruendo una narrazione dominante che coglie i problemi sociali
innanzitutto in quanto “importati da fuori”, proiettando la colpa sugli altri,
“su di loro”. L’essenziale è che la responsabilità del degrado e del conflitto
sociale, della relativa violenza e criminalità sia innanzitutto “loro”, e mai in
prima istanza “nostra”: “noi” in quanto paladini e difensori della
non-violenza, del rispetto dell’uguaglianza e della dignità di ogni individuo;
“loro” in quanto provenienti da una cultura subalterna perlopiù violenta,
discriminatoria e irrispettosa dei diritti dell’uomo.
Negare questa logica non significa, beninteso, che “loro” siano
meglio di “noi”, ma iniziare a comprendere e giudicare le persone e i problemi
sociali in maniera equa, sempre che crediamo ancora che la giustizia debba
essere uguale per tutti.
Ma si fa fatica ad accettare che il male sia innanzitutto
interno, a sopportare la verità che gli abusanti, gli stupratori e i pedofili
vivono principalmente nelle nostre famiglie, siano “uno di noi”. Ammetterlo
significherebbe diventare consapevoli del fatto che il nostro sistema sociale è
in sé problematico, criminale e violento, che non viviamo nel migliore dei
mondi possibili e che il sistema andrebbe cambiato.
Se il paradigma politico è però quello della conservazione dello
status quo e della costruzione di muri che difendano la nostra tradizione, i
nostri usi, costumi e valori supposti originari, e se non vi è nessuna apertura
ad una visione di un futuro che possa essere migliore del qui e ora, allora agiranno
i processi di “culturalizzazione dei problemi sociali” e della “logica del
capro espiatorio” che criminalizzano il diverso, vedendo nello straniero la
causa del problema, e mai nel sistema.
Questi processi tendono, in ultima istanza, a trasformare la
violenza, i problemi e i conflitti sociali interni alla società in conflitti
culturali e identitari tra “noi” e “loro”, permettendo a chi detiene o ambisce
al potere di mantenerlo e/o conquistarlo, tramite iniziative quali l’espulsione
dei criminali stranieri. Lo scopo ultimo, infatti, non è quello di risolvere la
criminalità all’interno della nostra società, ma la costruzione e il
mantenimento, grazie ad una rappresentazione falsificata della realtà, di un’egemonia
politica e culturale.