(da "La Regione" del 7 agosto 2014)
È giusto non riconoscere, valorizzare e
premiare le qualità artistiche di Roman Polanski, uno dei più grandi registi
viventi, per il fatto che nel 1977 ha avuto un rapporto sessuale con una
ragazza di 13 anni e 11 mesi?
Da più parti si continua a valutare negativamente, da un punto di vista morale, la partecipazione del regista al Film Festival di Locarno. Polanski è un criminale, Polanski fa di tutto per non essere estradato negli Stati Uniti, dove ancora oggi lo attende un processo per l’orrendo crimine che ha commesso, Polanski è ciò che oggi la nostra “morale sociale” reputa il “male assoluto”: un pedofilo, il mostro contemporaneo.
Potrà non piacere ai numerosi moralisti e ai moralizzatori nostrani, ma di fronte ad un’analisi più attenta e accorta le questioni etiche sono purtroppo, o per fortuna, molto più complesse di quello che appaiono, di quello che ci dice la nostra pancia o di quel che mormora la pancia del popolo. Ma assecondare questi mormorii, in particolare in questo cantone di provincia che ha fatto negli ultimi anni degli “umori della gente” la sua ragion d’essere politica, culturale e morale, è sicuramente la strada più facile, per rassicurare se stessi, gli altri e, perché no, per ottenere qualche tornaconto politico o qualsivoglia forma di riconoscimento sociale.
Polanski ha sicuramente commesso degli atti ignobili e meschini, quali il rapporto sessuale con una minorenne e la fuga di fronte alla giustizia, che hanno macchiato e peseranno per sempre sulla sua esistenza. Ma sono questi atti delle ragioni sufficienti per non invitare uno dei più grandi registi viventi al Festival del film di Locarno? D’altra parte, può la grandezza dell’artista, universalmente apprezzata e acclamata, mettere in secondo piano i suoi tragici errori?
Esiste il diritto a rifarsi una vita?
Cos’è che urta di più le nostre coscienze: il fatto che abbia commesso il reato o che sia fuggito dalla giustizia? Occorre qui ricordare come Polanski abbia patteggiato con la sua vittima, Samantha Geimer, una modella che il regista conobbe in quanto fotografo per Vogue. Si dichiarò colpevole di rapporto sessuale con persona minorenne e scontò in carcere la pena inflittagli. Venne rilasciato anticipatamente con una valutazione che consigliava una pena detentiva con la condizionale. Quando scoprì che il giudice non avrebbe dato seguito a questa valutazione fuggì in Francia.
Mettiamo per un attimo che l’intera procedura giudiziaria sia terminata e che anche negli Stati Uniti il suo caso legale sia oramai chiuso. Qualcuno reputerebbe ancora sbagliata l’idea di invitarlo al festival a parlare di cinema? Ciò non significherebbe mettere in dubbio il diritto, per una persona che ha commesso un atto criminale e ha scontato la sua pena, di “rifarsi una vita” e di non portare per sempre lo stigma sociale del gesto criminale che ha commesso?
Questo non vale unicamente per Polanski perché è un grande artista, ma per tutte le persone che una volta nella loro vita hanno commesso un reato. Non hanno tutte queste persone la possibilità di tornare ad una “vita normale” e di essere riconosciute dalla società per quel che fanno di buono, al di là dei crimini per i quali hanno scontato una “giusta pena” (sempre che ovviamente non siano recidivi)? Posso essere un “bravo padre”, un “bravo impiegato”, un “bravo sportivo”, un “bravo regista”, anche se una volta nella vita ho ucciso, rubato, stuprato, evaso il fisco, fatto sesso con una minorenne?
Coloro che non credono nel diritto alla seconda possibilità mettono in dubbio i principi del nostro ordinamento giuridico, e attaccano così i valori che stanno a fondamento della nostra morale sociale. È proprio di fronte al caso-limite della “pedofilia” che si tende sempre più a invocare l’internamento a vita, la castrazione, persino la pena di morte, in ogni caso la messa al bando definitiva dalla società. Ma ciò che realmente la “pedofilia” è e rappresenta necessiterebbe di un’analisi molto più approfondita che non delle mere reazioni emotive scritte su desideri di vendetta. E questo innanzitutto per prevenirlo, il male, e soprattutto per combatterla efficacemente, la “pedofilia”.
La complessità morale di un caso giudiziario
Mettiamo di non voler dare spazio alla caccia alle streghe contemporanea, e di non voler vivere in una società fondata su metodi giustizialisti premoderni, quando si marchiavano a vita con il fuoco i criminali. Ma decidiamo comunque di non voler rinunciare a giudicare gli atti di pedofilia in tutta la loro gravità e malvagità. In questo caso il problema morale essenziale dell’affaire Polanski diventa il fatto che sia fuggito di fronte alla giustizia americana.
Si apre qui la complessa questione del rapporto tra morale e diritto e della valutazione del caso giudiziario specifico. Per il diritto svizzero, Polanski è un uomo libero (come infatti rivendicato dai rappresentanti del Festival, anche se ci pare un argomento non del tutto esaustivo per giustificare il loro invito al regista). Inoltre non per forza se una persona è ricercata in un altro stato significa che noi, cittadini del nostro di stato, ne dobbiamo condividere le leggi. Infine, sempre a difesa di Polanski e del Festival, si potrebbe ricordare che la mancata estradizione del regista negli USA è stata giustificata da parte della Svizzera non unicamente per una questione di “forma”: la domanda di estradizione non è stata accolta perché secondo gli atti Polanski avrebbe già scontato l’intera pena inflittagli, e gli Stati Uniti non avrebbero presentato alle autorità federali la documentazione necessaria per dimostrare il contrario.
Ma si può veramente ridurre la valutazione morale ai formalismi di giudici e avvocati? In ogni caso le opinioni morali, anche solo attorno al caso giudiziario specifico, non possono che essere molteplici e spesso in contrasto tra di loro. Contro il regista e il festival citiamo, senza per questo voler essere esaustivi: le leggi di un paese vanno comunque sempre rispettate, non si può mica fuggire semplicemente perché le giudichiamo ingiuste, e qui parliamo pure di sesso con minori! Inoltre, il fatto non sia stato estradato non è perché ha potuto pagarsi i migliori avvocati? Infine, il fatto che venga riconosciuto e apprezzato come un grande regista non gli concede un trattamento di favore rispetto ad altri “poveri cristi” sottoposti a casi analoghi, per i quali nessuno accorre in difesa?
A favore di Polanski e del Festival: il regista ha patteggiato con la vittima Samantha Geimer, ha scontato la pena patteggiata, ha chiesto scusa alla vittima e Samantha Geimer l’ha pubblicamente perdonato. Lei ha inoltre richiesto più volte che non si parli più pubblicamente del caso (richiesta anche in Ticino per l’ennesima volta rimasta ascoltata…). Ancora a favore: c’è chi sostiene sia avvenuto un vero e proprio accanimento giudiziario nei confronti di Polanski, da parte di giudici e media conservatori nei confronti di una persona reputata fin troppo “liberal” e decadente nei suoi costumi e nel suo stile di vita, per una morale puritana che voleva tirare la coperta della giustizia dalla sua parte.
Opera e persona
Ma alla fine non sarebbe sufficiente l’alta qualità dell’opera del regista, oltre al fatto che in Svizzera è un uomo libero, per giustificare il suo invito a Locarno? Il “bene” che Polanski ha fatto alla società, con la poesia che ci ha saputo mostrare, le emozioni che ci ha fatto vivere, l’umanità delle storie di vita che ci ha permesso di cogliere, non mettono in secondo piano, da un punto di vista morale, il “male” che ha invece causato?
Non che il bene giustifichi il male. Nella valutazione etica di un essere umano, non bisogna sicuramente mai dimenticare i suoi vizi e i suoi errori, gravi o futili che siano. Ma non bisognerebbe anche riconoscergli le sue virtù e le sue beneficenze? Il male che Polanski ha commesso è in sé ingiustificabile, ma non possiamo negare che da qualche parte, quando apprezziamo un suo film o lo invitiamo ad un festival, pensiamo che questo male sia in parte compensato dal bene che ci ha offerto.
Non si tratta di distinguere l’artista
dall’opera, perché artista e opera, di fronte ad un’analisi etica e non
unicamente estetica, non sono mai del tutto distinguibili. Anche per questo,
sia detto per inciso, le prese di posizione che accettano che al Festival
vengano mostrati i suoi film, ma non che Polanski venga a Locarno, sono contradditorie
o perlomeno superficiali, dettate dall’emozione e da un’analisi insufficiente
della questione.
Ciò che dona riconoscimento e a valore alla sua persona sono i suoi film. E quindi, o crediamo che gli errori che ha commesso sono tali da infangare anche il suo esprimersi in quanto regista e decidiamo di boicottare i suoi film o, peggio, di censurarli. Oppure crediamo sia giusto ascoltare e premiare una persona per le sue virtù, così come reputiamo doveroso punirla per i suoi vizi. Altrimenti, le nostre crociate morali non saranno che una caccia alle streghe, o prese di posizioni morali fondate su una geometria variabile in vista di un proprio tornaconto personale.
Se decideremo comunque di applaudire Polanski per i suoi meriti di artista, crediamo che questi applausi non saranno mai sufficienti a cancellare quel tragico evento di 37 anni fa. La creazione di una somma opera d’arte non giustificherà mai un atto sessuale con una minorenne. D’altra parte, è questa violenza sessuale una ragione sufficiente per non cogliere, valorizzare e premiare la grandezza dell’opera di una persona?