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venerdì 16 maggio 2014

Appunti morali IV.: Libertà di parola




(da "La Regione" del 16 maggio 2014)







Sono sempre libero di dire ciò che mi pare e piace, oppure la mia libertà di parola deve essere limitata? Non è molto corretto insultare chi non la pensa come me, ma se uno proprio non lo sopporto perché non dovrei poterlo dire in pubblico? Ma non è il caso, talvolta, di censurare l’offesa?

D’altra parte, fino a che punto sono costretto a tollerare gusti e opinioni che mi urtano e che reputo del tutto sbagliati? È facile essere tollerante con gli amici e i compagni, loro la pensano come me. Mi risulta più difficile tollerare la libertà di parola di persone che offendono la mia sensibilità e la mia visione del giusto. Loro stanno dalla parte del torto, e quindi perché dovrei accettarli?

La classica massima morale liberaldemocratica mi dice che sarei libero di fare ciò che mi pare e piace finché non faccio del male agli altri. Non possiamo tollerare che la libertà individuale arrivi al punto da permettere a qualcuno di fare del male fisico a qualcun altro. Nessuno vorrebbe vivere in una società nella quale una persona è libera di picchiare chi non gli sta a genio, o di uccidere o anche solo torturare chi gli ha fatto un torto. La mia libertà individuale è quindi limitata dai danni fisici che posso arrecare agli altri.


Ma anche le parole possono fare male. Possono urtare la sensibilità di qualcuno e offenderlo, ed essere causa, quindi, di un danno psichico. Le parole hanno una loro forza, ed è per questo che uno ci può stare male. Ma quindi, visto che limitiamo e censuriamo la violenza fisica, perché non dovremmo limitare e censurare anche la violenza verbale, se è causa di malessere psichico?

Pensiamo a qualche caso pratico: Sergio Savoia, coordinatore del partito dei Verdi ticinesi, sul suo blog è avvezzo a insultare e offendere chi non la pensa come lui. Se l’è presa ad esempio con Virginio Pedroni, docente e filosofo, perché contrario all’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa” del 9 febbraio 2014. In un suo scritto aveva proposto dei parallelismi storici tra l’odierno Canton Ticino e il Sud degli Stati Uniti durante l’epoca dello schiavismo. Savoia se la prende con Pedroni affermando che il filosofo anni fa “ebbe un breve periodo di notorietà” quale candidato alla presidenza del Partito socialista, che ”durò anche meno dei 15 minuti di cui parlava Andy Warhol. Pedroni era troppo triste e grigio perfino per il PS… Il suo culo è perennemente riscaldato dalle serpentine dell'impiego pubblico… uno le cui capacità argomentative non sposterebbero nemmeno il voto della moglie.”

Lo scorso mese di marzo Massimiliano Robbiani, municipale di Mendrisio per il partito della Lega dei Ticinesi, pubblica sul suo profilo Facebook una foto di due donne col burqa accanto a due sacchi della spazzatura neri con la scritta “trova le differenze”, aggiungendo un ulteriore commento politico: “Ragione in più per non pagare la tassa sul sacco!!!”.

Dadò padre (Armando l’editore) e Dadò figlio (Fiorenzo il politico) sono invece ogni estate impegnati in una lotta contro le scelte artistiche dei direttori del Festival del film di Locarno. In particolare nel 2010 Armando Dadò ha invocato la censura della proiezione del film “L.A. Zombie” di Bruce LaBruce, che mostra la vicenda di uno zombie omosessuale che penetra con il suo fallo delle persone assassinate, riportandole così in vita. L’anno scorso il figlio, Fiorenzo Dadò, voleva invece censurare la pellicola “Sangue” di Pippo Delbono, all’interno della quale l’ex brigatista Giovanni Senzani racconta del sequestro e dell’esecuzione di Roberto Peci, di cui è stato responsabile.

All’inizio di quest’anno il governo francese riesce a bloccare le rappresentazioni teatrali del comico e attivista Dieudonné M’Bala M’Bala, per “questioni di ordine pubblico”, essendo intrise di “luoghi comuni antisemiti” che “inciterebbero all’odio razziale” e sarebbero “offensive della dignità della persona”.

Ognuno di questi casi è diverso nei metodi e nei contenuti. Per ciascuno si pone però la questione fino a che punto bisogna tollerare la libertà di parola. Le parole di Sergio Savoia insultano e offendono l’onore e la reputazione di un’altra persona (sarebbe diffamazione…), mentre quelle di Massimiliano Robbiani sono lesive della dignità delle “donne che indossano il burqa” (sarebbe razzismo…). E quindi non sarebbe il caso di censurarle, come desiderano tanto i Dadò per certi film e come ha fatto il governo francese con quell’antisemita di Dieudonné? I nostri soldi pubblici non possono mica essere impiegati per mostrare un film come “L.A. Zombie” che urta la sensibilità della maggioranza dei ticinesi, e neppure per una pellicola che dà parola ad un brigatista che offende così le sue vittime e i loro famigliari. Lo Stato non dovrebbe intervenire in nome dell’igiene sociale e in difesa della morale pubblica? Non tutte le parole dovrebbero essere permesse...


Perché non mettere in atto la censura qualora la libertà di parola offenda la reputazione, la sensibilità e la dignità di altre persone?

Io sono musulmano, credo tanto nella mia religione, Maometto è colui che dona senso al mio vivere, ed è per questo che ci sto veramente male quando criticano la mia fede. Hanno addirittura osato fare della satira sul Profeta! Io invece sono un ateo razionalista convinto, credo che le religioni siano la fonte di molti mali per l’umanità. Gesù, Maometto, Abramo e gli altri non erano per me che degli invasati, e affermare che le loro parole sono quelle di Dio e della Verità lo trovo veramente un insulto alla mia ragione e alla dignità dell’uomo!

Ogni opinione, gusto, stile di vita molto distante dalla mia visione del mondo rischia di urtare la mia sensibilità. La posso reputare offensiva di ciò che per me ha valore e dignità. Se all’interno delle nostre società liberaldemocratiche possiamo mettere dei limiti alla libertà d’azione degli individui qualora provochino dei danni fisici ad altri, non lo possiamo invece fare per la libertà di parola. Se si usasse il male psichico come giustificazione per mettere in pratica la censura, qualsiasi voce critica nei confronti di una credenza avversa potrebbe un giorno essere messa a tacere. La tolleranza presuppone che l’altro, all’interno del dibattito pubblico, con le sue parole, possa anche farmi del male, insultare ciò in cui credo, offendere la mia persona. È il prezzo, in termine di sofferenza, che dobbiamo pagare per la nostra libertà di pensiero.

E quindi, lasciamo libertà a Savoia, Robbiani, LaBruce, Senzani e Dieudonné di poter dire ciò che gli pare e piace? Anche se per me hanno palesemente torto e li posso trovare disgustosi, non hanno anche loro diritto di parola? Savoia può essere accusato di diffamazione, ma non è detto che la sua violenza verbale causi più sofferenza delle offese al Profeta per un musulmano. Le parole di Robbiani, così come quelle di Dieudonné, insultano senza ombra di dubbio la dignità dell’essere umano, ma non lo fa anche “L.A. Zombie” per chi crede che i cadaveri siano sacri e non vadano profanati? Le leggi contro il razzismo dovrebbero proteggere le minoranze culturali dalla discriminazioni, ma allora non dovremmo limitare anche la critica alle minoranze sessuali, religiose, diversamente abili, …? Forse sì, in nome della difesa di chi sta ai margini, di chi non sempre ha quel potere di parola che invece esercitano coloro che si permettono di stigmatizzarli, una protezione dei deboli nei confronti della libertà dei potenti.

Ma poi, che garanzia avremmo che il potere lo faccia sempre in nome della giustizia? Se proprio non vogliamo che sia lo Stato il censuratore, l’operatore di igiene sociale in nome di qualsivoglia morale pubblica imperante, non ci rimangono che le armi del confronto, dello scontro, della guerra di parole per dimostrare che dei cittadini stanno facendo del male alla nostra società e stanno sbagliando.

Ai Dadò consigliamo così, invece di invocare la censura governativa nei confronti della libertà artistica, di finalmente iniziare a distruggere pubblicamente i film con delle oneste argomentazioni. Ai razzisti di provincia come Robbiani non si tratta di tappare la bocca, ma di mostrarne la pochezza intellettuale, non è il caso di far diventare persone così martiri della libertà di parola. Anche i populisti intolleranti come Savoia, infine, li dovremo tollerare, anche se continueranno a usare la macchina del fango per gettare discredito sulla personalità dei loro avversari, invece di tentare di confutarne le argomentazioni. Ma in guerra spesso l’insulto e l’offesa sono più efficaci, quando il rischio è quello di sempre, in democrazia: la vittoria dei sofisti, di coloro che sanno meglio sedurre con le loro parole il popolo per la loro personale volontà di potenza.



Nella Costituzione e nel Codice penale..

La libertà di parola nella Costituzione svizzera, art. 16: “La libertà d’opinione e d’informazione è garantita. Ognuno ha il diritto di formarsi liberamente la propria opinione, di esprimerla e diffonderla senza impedimenti”, art. 17: “La censura è vietata.”

Nel codice penale, contro la diffamazione, art. 173: “Chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla riputazione di lei, (…) è punito (…) con una pena pecuniaria sino a 180 aliquote giornaliere”.

Contro il perturbamento della libertà di credenza, art. 261: “Chiunque pubblicamente ed in modo abietto offende o schernisce le convinzioni altrui in materia di credenza, particolarmente di credenza in Dio (…) è punito con una pena pecuniaria sino a 180 aliquote giornaliere.”


Contro la discriminazione razziale, art. 261bis: “Chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione (…) è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.”